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Venerdì, 05 Dic 2025

Barriere, di Denzel Washington, con Denzel Washington, Viola Davis, Mykelti Williamson, Saniyya Sidney, Russell Hornsby, Jovan Adepo, Stephen Henderson, durata 139’, nelle sale dal 23 febbraio 2016, distribuito da Universal Pictures.

Recensione di Luca Marchetti

Per Denzel Washington, portare sul grande schermo Barriere, la pièce premio Pulitzer di August Wilson (grandissimo drammaturgo afroamericano, scomparso nel 2005), è stato molto di più che un semplice atto dovuto. Washington, infatti, dopo aver riportato a Broadway, con enorme successo, il testo nel 2010, ha scelto di dedicarsi a questo progetto, impegnandosi totalmente nel triplice ruolo di produttore-regista-attore protagonista. Per anni, Hollywood ha cercato di corteggiare Wilson per realizzare un adattamento cinematografico della sua opera. I tentativi degli studios naufragarono di fronte alla volontà dello stesso Wilson di affidare il suo testo solo a un regista afroamericano.

Quasi trentacinque anni dopo, finalmente, i desideri di Wilson si sono realizzati grazie al coraggio e all’abnegazione di un altro artista black. Barriere, infatti, è un’opera che, pur raccontando un comune dramma famigliare, rappresenta lucidamente le atmosfere e le dinamiche basilari del proletariato afro-americano.

La figura totalizzante di Troy Maxson, netturbino con un sofferente passato di ex promessa del baseball, è un personaggio che rappresenta, allo stesso tempo, la grandissima tradizione teatrale dei protagonisti dal carisma immenso e l’umana tragedia dell’uomo medio afroamericano degli anni ‘50/’60 (e oltre). Washington sa bene, per averlo già interpretato a teatro, la forza narrativa e socio-politica del suo personaggio e per questo lo tiene al centro della sua scena. Troy/Denzel diventa così, con i suoi errori, i suoi racconti bislacchi e il suo feroce egoismo/rancore nei confronti dei figli, la colonna portante del film.

L’interpretazione senza freni dell’attore e il crogiolarsi, tra monologhi e gigionismi, davanti alla propria cinepresa, annullano totalmente il mondo intorno, trasformando Barriere in un personale, anche sincero, sfoggio di bravura, ai limiti dell’autoesaltazione. E’ chiaro che un ruolo come quello di Troy sia proprio di un’altra (gloriosa) concezione interpretativa, più vicina alle prove di attori classici come Marlon Brando o Paul Newman che a quelle di interpreti recenti (Casey Affleck e Ryan Gosling, contendenti di Washington nella categoria Oscar miglior attore, regalano prove lontane anni luce). Washington, anche volendo, non avrebbe potuto vestire i panni di Troy in altro modo.

Nonostante l’impegno sincero dell’autore/attore, Barriere paga la sua sovraesposta impostazione teatrale, scadendo spesso nella verbosità di maniera e nella statica fedeltà all’originale, caratteristiche alimentate anche dalla prova muscolare, strabordante e monopolizzante di Denzel Washington.

Da questo meccanismo, purtroppo, tutti gli altri attori del cast (una nota particolare va fatta ai convincenti Mykelti Williamson e Russell Hornsby) rimangono inevitabilmente schiacciati. L’unica eccezione è l’ottima Viola Davis. Compagna di palco per Washington anche a Broadway, l’attrice conosce alla perfezione testo e personaggio, regalando una prova più misurata e sofferta del collega. La sua Rose, moglie devota ma non succube, diventa un contraltare silenzioso di Troy, riuscendo quasi a superarlo per efficacia interpretativa.

Una prova che le regalerà, finalmente, un atteso e meritatissimo Oscar.

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critico cinematografico

 



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