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Mercoledì, 03 Lug 2024

Con sentenza n.2042/2018, pubblicata il 22 febbraio scorso, il Tar Lazio, sez. III, ha accolto il ricorso col quale un candidato ha impugnato il giudizio di non idoneità a professore di I fascia espresso nei suoi confronti dalla Commissione per l’Asn per il settore concorsuale 10/N1 (Culture del Vicino Oriente Antico, del Medio Oriente e dell’Africa), 2016-2018.

Nel caso di specie, è accaduto che la Commissione, al fine di formulare il proprio giudizio sul candidato, ha deciso di avvalersi di un parere pro veritate, reso in data 7 novembre 2017, il quale, nelle sue linee generali, si è espresso come segue:

«Il candidato, dott. M. R., presenta pubblicazioni scientifiche in larga misura pertinenti rispetto al settore concorsuale 10/N1, anche se un numero non marginale di prodotti della ricerca è costituito da contributi teorici e metodologici di argomento trasversale dedicati alla teoria e semiotica dell’archeologia, ai suoi sistemi concettuali e alla loro modellizzazione (si vedano, in particolare: indicatore 1, nr. 2-4, 12, 14, 18). Fra questi si segnala anche la monografia Archeologia e semiotica, 2010 (indicatore 3, nr. 2). (…) Nel complesso, pur a fronte di una certa originalità negli approcci all’analisi del dato archeologico, l’impostazione eccessivamente teoretica delle sue ricerche, la limitata originalità dei risultati raggiunti, il ridotto impatto della sua produzione scientifica sulla ricerca internazionale, la ridondanza e, in alcuni casi, ripetitività delle sue pubblicazioni e la mancanza nel suo curriculum della responsabilità diretta di progetti archeologici nel Vicino Oriente originali e di ampio respiro fanno sì che il candidato non appaia ancora maturo per un’abilitazione scientifica alla prima fascia».

Al riguardo, il giudice ha ritenuto fondato proprio il terzo motivo di ricorso, con cui il ricorrente lamenta che il parere pro veritate, cui la sua opera è stata sottoposta su richiesta della Commissione, ha travalicato i limiti delle quindici opere che egli aveva sottoposto a valutazione dell’Organo Collegiale (che avrebbero dovuto costituire il perimetro di valutazione qualitativa da parte di quest’ultimo) atteso che l’art. 6 del D.M. n. 120\2016 dispone che “La Commissione attribuisce l'abilitazione esclusivamente ai candidati che soddisfano entrambe le seguenti condizioni:

a) ottengono una valutazione positiva del titolo di cui al numero 1 dell'allegato A (impatto della produzione scientifica) e sono in possesso di almeno tre titoli tra quelli scelti dalla Commissione, secondo quanto previsto al comma 2 dell'articolo 5;

b) presentano, ai sensi dell'articolo 7, pubblicazioni valutate in base ai criteri di cui all'articolo 4 e giudicate complessivamente di qualità «elevata» secondo la definizione di cui all'allegato B”, e che il richiamato art. 7 si riferisce al “numero massimo delle pubblicazioni che ciascun candidato può presentare”, dizione che non avrebbe senso logico qualora la si accostasse alla valutazione quantitativa (e non a quella di qualità) legata all’impatto sul settore;

Tanto premesso, avendo ritenuto di accogliere le predette censure, il giudice si è pronunciato per l’annullamento del diniego di abiltazione e ha ordinato al MIUR di sottoporre il ricorrente a nuova valutazione, da parte di una Commissione in composizione del tutto diversa da quella che ha operato, entro giorni novanta dalla comunicazione o notificazione della sentenza.

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