E’ legittimo il licenziamento intimato dal datore di lavoro nei confronti del dipendente che è incorso in una condanna in sede penale per violenza sessuale ai danni di una minore di età; tale condotta in qualsiasi contesto sia commessa, per quanto di per sé estranea al rapporto di lavoro, è idonea a ledere il vincolo fiduciario a prescindere dal contesto in cui la stessa è stata commessa e dal tempo trascorso dal fatto, a maggior ragione ove l’attività lavorativa svolta ponga il lavoratore a diretto contatto col pubblico.
E’ quanto emerge dall’ordinanza n. 14114/23, pubblicata il 23 maggio 2023, con la quale la Corte di cassazione - sezione Lavoro – ha accolto il ricorso proposto da un’azienda avverso la decisione della Corte d’appello di Ancona che, con sentenza n. 42/2020, nel confermare la sentenza emessa dal Tribunale della medesima città, aveva ritenuto illegittimo il licenziamento, evidenziando che la condotta contestata al dipendente (violenza sessuale a carico di una minorenne) “non era connotata da particolare gravità, tenuto conto del tempo trascorso da quel fatto e dalla mancanza di altre violazioni di legge”. La Corte territoriale ha ritenuto che “tali circostanze deponessero nel senso che si potesse prevedere che il lavoratore non si sarebbe reso nuovamente responsabile di azioni analoghe idonee a ledere il rapporto fiduciario” con il datore di lavoro.
Inoltre, i giudici dell’appello hanno considerato che il fatto addebitato al lavoratore, risalente al oltre tredici anni prima e rimasto isolato, si era realizzato al di fuori dell’attività lavorativa e, dunque, si poteva ritenere che non potesse avere rilievo nello svolgimento di mansioni a contatto con la clientela.
L’azienda datrice di lavoro, non condividendo tali motivazioni, impugnava innanzi alla Corte di cassazione, con tre motivi di ricorso, la predetta ordinanza.
I giudici della Suprema Corte, nell’accogliere il secondo dei tre motivi, con il quale segnatamente l’azienda ricorrente denunciava violazione e falsa applicazione dell’art. 1219 c.c. e degli artt. 54, co. VI, lett. h) e 80, lett. e) del contratto collettivo nazionale di lavoro (ccnl) di categoria, affermava, tra l’altro, che “Una violenza sessuale ai danni di una minore di età, in qualsiasi contesto sia commessa è, secondo uno standard socialmente condiviso, una condotta che, per quanto di per sé estranea al rapporto di lavoro, è idonea a ledere il vincolo fiduciario, a prescindere dal contesto in cui la stessa è stata commessa e dal tempo trascorso dal fatto, a maggior ragione ove l’attività lavorativa svolta ponga il lavoratore a diretto contatto con il pubblico”.
Inoltre, per gli Ermellini, i giudici dell’appello non hanno considerato che, per l’art. 54, co. VI, del succitato ccnl di categoria, la sanzione disciplinare del licenziamento senza preavviso trova applicazione nel caso di condanna definitiva “ per condotta commessa non in connessione con lo svolgimento del rapporto di lavoro, quando i fatti costituenti reato possano comunque assumere rilievo ai fini della lesione del rapporto fiduciario”. Pertanto, leggesi sempre nella sentenza in rassegna, “In base a tale disposizione collettiva, richiamata nella lettera di licenziamento, il giudice è tenuto a valutare la gravità del fatto costituente reato per come accertato e valutato in sede penale e con efficacia di giudicato, senza che a tal fine rilevino altri elementi di contorno esterni (quale, ad esempio, il tempo trascorso e l’unicità del fatto)”.
In conclusione, sentenza cassata con rinvio ad altra Corte di appello (Bologna anziché Ancona), affinché proceda a un riesame della fattispecie; valuti, alla luce dei principi esposti dalla Suprema Corte, la legittimità o meno del licenziamento; disponga in merito alla regolazione delle spese del giudizio.
Rocco Tritto