Con sentenza n. 22631/23, depositata il 24 maggio 2023, la Corte di Cassazione – V Sezione penale – ha dichiarato inammissibile il ricorso proposto dal ricorrente avverso la sentenza del Tribunale di Pistoia, di conferma di quella del Giudice di pace, che l’aveva riconosciuto colpevole del reato di diffamazione (art. 595 c.p.), per aver offeso - nell’ambito di una conversazione via mail con più persone, la reputazione di un collega consulente, paragonando la fondatezza di un suo lavoro a quella di un mago, con condanna anche al risarcimento del danno a favore della costituita parte civile.
I giudici della Suprema Corte, in primo luogo, hanno ribadito un principio di diritto ormai pacifico e consolidato presso la medesima Corte, in base al quale “l’invio di una mail dal contenuto offensivo ad una pluralità di destinatari integra il reato di diffamazione anche nell’eventualità che tra questi vi sia l’offeso, stante la non contestualità del recepimento del messaggio nelle caselle di posta di destinazione”.
A seguire, la Corte ha altresì riaffermato che “è la nozione di «presenza» dell’offeso ad assurgere a criterio distintivo tra l’ingiuria e la diffamazione e tale concetto implica necessariamente la presenza fisica, in unità di tempo e di luogo, di offeso e spettatori ovvero una situazione ad essa sostanzialmente equiparabile realizzata con l’ausilio dei moderni sistemi tecnologici (call conference, audioconferenza o videoconferenza); criterio, questo, che vale anche in caso di presenza solo ‘virtuale’ dell’offeso”.
Pertanto, precisano i giudici, se l’offesa viene pronunciata durante una riunione “a distanza” o “da remoto”, tra più persone collegate, tra le quali anche l’offeso, ricorrerà l’ipotesi dell’ingiuria commessa alla presenza di più persone (fatto depenalizzato); di contro, laddove vengano in rilievo comunicazioni (scritte o vocali), indirizzate all’offeso e ad altre persone non contestualmente “presenti” (in eccezione estesa alla presenza “virtuale” o “da remoto”), ricorreranno i presupposti della diffamazione.
Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso è conseguita la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Rocco Tritto