Con sentenza n. 23295/2023, depositata in data odierna, la Corte di cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso avverso la sentenza della Corte di appello di Firenze n. 21/2020, di conferma della decisione del Tribunale di Arezzo, che aveva ritenuto legittimo il licenziamento per giusta causa adottato dal datore di lavoro nei confronti di un dipendente per aver tenuto nei confronti di una giovane collega “comportamenti consistenti in allusioni verbali e fisiche a sfondo sessuale”, denunciati in due diverse occasioni dalla lavoratrice alla direzione aziendale.
Per la Corte d'appello, tali comportamenti - rientranti nelle molestie, di cui all’art. 26 del decreto legislativo n. 198/2006 - confermati dai testi escussi in giudizio, comunque indesiderati e oggettivamente idonei a ledere e violare la dignità della collega di lavoro, costituiscono giusta causa di licenziamento, a nulla rilevando che fosse assente la volontà offensiva e che il clima dei rapporti tra tutti i colleghi fosse spesso scherzoso e goliardico.
L’iter logico giuridico della Corte territoriale è stato pienamente condiviso dai Giudici della Suprema Corte, che hanno disatteso i due motivi posti a base del ricorso, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato.
Rocco Tritto