Il provvedimento con il quale è stato disposto il trasferimento di sede di una dipendente per assistere, a sensi della legge 104/1992, un familiare disabile, non può essere revocato ex abrupto dal Ministero datore di lavoro, neppure in caso di decesso del familiare stesso.
A stabilirlo è stata Corte di cassazione con sentenza n. 34090/2023, pubblicata il 6 dicembre scorso, con la quale ha rigettato il ricorso proposto dal predetto Ministero avverso la decisione della Corte d’appello di Palermo n.137/2021, di conferma della sentenza emessa in primo grado dal Tribunale di Agrigento.
Il Ministero ricorrente contestava la decisione della Corte palermitana in quanto, a suo dire, la stessa Corte, innanzitutto, avrebbe dovuto dichiarare cessata la materia del contendere per il decesso del familiare disabile assistito dalla dipendente, avvenuto successivamente alla sentenza di primo grado, quando ormai il trasferimento in questione era stato disposto.
In secondo luogo, il Dicastero datore di lavoro censurava la sentenza impugnata per non avere, la Corte d’appello, accertato e dichiarato la sopravvenuta carenza ad agire da parte da parte della controricorrente, vale a dire della sua dipendente.
Entrambe le doglianze venivano ritenute infondate dai Giudici della Suprema Corte. Quanto alla prima, perché la cessazione della materia del contendere “si ha soltanto quando le parti si diano reciprocamente atto del sopravvenuto mutamento della situazione sostanziale dedotta in giudizio e sottopongano conclusioni conformi in tal senso al giudice”. Nel caso di specie, invece, le posizioni delle parti erano tutt’altro che coincidenti, atteso che il datore di lavoro invocava la cessazione della materia del contendere, mentre la dipendente controricorrente chiedeva la conferma della sentenza di primo grado, a lei favorevole.
Quanto alla seconda doglianza, anch’essa ritenuta priva di fondamento, la Corte di cassazione evidenziava che l’interesse ad agire, contrariamente a quando sostenuto dal Ministero, sussisteva in capo alla dipendente, che “vuole ottenere la conferma della legittimità della propria pretesa e, quindi, l’esistenza delle condizioni del trasferimento quando esso è stato giudizialmente disposto e poi amministrativamente attuato”.
Inoltre, osservano i Giudici, il Ministero “non fa più questioni sull’originaria sussistenza del diritto, che solo afferma non esservi più in ragione del decesso del predetto familiare”.
Pertanto, conclude la Cassazione, atteso che “il diritto al trasferimento che sia stato riconosciuto e attuato prima del sopravvenire di circostanze nuove e modificative del pregresso assetto fattuale, si cristallizza quale oggetto del giudizio che lo riguarda”, nel caso di specie, poiché il diritto della dipendente preesisteva quando il trasferimento venne disposto, ”il successivo venir meno dei suoi presupposti legali non lo estingue, ma eventualmente radica il presupposto (o uno dei suoi presupposti) affinché sia disposto un nuovo trasferimento. Ma ciò riguarda una situazione soggettiva nuova e diversa”, estranea al giudizio in questione.
In conclusione, ricorso rigettato, legittimità del trasferimento confermata, condanna del Ministero al pagamento delle spese di giudizio a favore della dipendente controricorrente.
Rocco Tritto