Con ordinanza n. 32807/2023, depositata il 27 novembre scorso, la Corte di cassazione – Sezione Lavoro – ha accolto il ricorso proposto da un dirigente medico, dipendente di una ASL, avverso la sentenza della Corte d’appello di L’Aquila n. 150/2018 che, analogamente alla decisione del Tribunale di Pescara, seppure con differente motivazione, aveva rigettato la richiesta del ricorrente volta a ottenere il diritto alla indennità sostitutiva (pari ad euro 45.131,27) per n. 157 giornate di ferie non godute all’atto della cessazione del rapporto di lavoro in data 30.4.2015, per volontarie dimissioni dal servizio con preavviso, formalmente rassegnate in data 15 gennaio 2015, ma a far data dal 1° maggio 2015.
A motivo del rigetto del ricorso, la Corte territoriale abruzzese eccepiva l’intervenuta prescrizione del diritto per le ferie maturate fino a luglio 2005, mentre per le restanti “aggiungeva che con le sue dimissioni il lavoratore aveva rinunciato alle ferie non ancora prescritte, pari a 92 gg., in quanto operava il divieto di monetizzazione di cui alla legge n. 135/2012, vertendosi in un caso (art. 5, comma 8, legge cit.) di vicenda estintiva del rapporto di lavoro cui aveva concorso ‘volontariamente’ lo stesso lavoratore con le dimissioni”.
Di diverso avviso i Giudici della Suprema Corte per i quali, invece, nella vicenda in esame “va data continuità all’indirizzo affermato – in linea peraltro con l’esigenza di una interpretazione del diritto interno conforme ai principi enunciati dalla Corte di giustizia dell’Unione Europea – da Cass., Sez. L, n. 21780 del 8 luglio 2022, per la quale la perdita del diritto alle ferie, ed alla corrispondente indennità sostitutiva alla cessazione del rapporto di lavoro, può verificarsi soltanto qualora il datore di lavoro offra la prova di avere invitato il lavoratore a godere delle ferie (se necessario formalmente) e di averlo nel contempo avvisato ‒ in modo accurato ed in tempo utile a garantire che le ferie siano ancora idonee ad apportare all’interessato il riposo ed il relax cui esse sono volte a contribuire ‒ che, in caso di mancata fruizione, tali ferie andranno perse al termine del periodo di riferimento o di un periodo di riporto autorizzato”.
Dal momento che nel corso del giudizio è stato accertato che tale prova non è stata mai fornita dalla parte datoriale - ma che, al contrario, più volte il ricorrente aveva manifestato in forma scritta alla ASL di appartenenza la volontà di fruire delle ferie arretrate - inevitabile l’accoglimento del ricorso, con rinvio alla predetta Corte di appello di L’Aquila, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese di legittimità.
Rocco Tritto