Dopo due sconfitte, sia innanzi al Tribunale di Napoli che alla Corte d’appello, per il dirigente responsabile dell'Area Amministrazione, Finanza e Fiscale di un’Azienda speciale comunale è arrivata una vittoria in Cassazione dove, la sezione Lavoro, con sentenza n. 12688/2024, pubblicata lo scorso 9 maggio, ha accolto il ricorso del ricorrente, a motivo che la Corte territoriale, nell’emettere la sentenza espulsiva per giusta causa, riteneva che la sussistenza di una causa giustificativa del licenziamento rendesse superfluo l'esame del carattere ritorsivo dello stesso.
Il ricorrente, infatti, era stato oggetto di procedimento disciplinare “per non avere curato l'impugnativa di un avviso di accertamento per l'importo di euro 4.000.000 notificato all'azienda Speciale”. Da tale incolpazione, il dirigente si era difeso sostenendo “di non avere avuto alcuna competenza in ordine alla impugnativa di accertamenti fiscali di importo elevato, sicché sarebbe viepiù inesistente la giusta causa della propria estromissione” e rilevando “la natura ritorsiva del licenziamento in quanto originato dalla sua attività di collaborazione prestata in favore della Procura della Corte dei Conti Campania e culminata in vari giudizi di responsabilità promossi nei confronti dei vertici” dell’Azienda “per grave danno erariale".
Il motivo di difesa non esaminato dalla Corte d’appello, in quanto ritenuto superfluo, veniva riproposto in Cassazione, che ha ritenuto fondato il ricorso, a motivo che nella valutazione della sussistenza della giusta causa di licenziamento, i giudici di merito avevano omesso di valutare il contesto complessivo della vicenda culminata nel provvedimento espulsivo: la tempistica del licenziamento rispetto all’avvenuta conoscenza da parte dei vertici aziendali delle denunce rese dal dirigente whistleblower e il progressivo ridimensionamento delle attribuzioni allo stesso assegnate.
Per i Giudici della Suprema Corte, “l'allegazione, da parte del lavoratore, del carattere ritorsivo del licenziamento intimatogli non esonera il datore di lavoro dall'onere di provare l'esistenza della giusta causa o del giustificato motivo del recesso; solo ove tale prova sia stata almeno apparentemente fornita incombe sul lavoratore l'onere di dimostrare l'illiceità del motivo unico e determinante (l'intento ritorsivo) che si cela dietro il negozio di recesso”.
In conclusione, ricorso accolto e rinvio, anche per le spese, alla Corte d'appello di Napoli, in diversa composizione.
Rocco Tritto