Con ordinanza n. 16150/24, pubblicata in data 11 giugno 2024, la Corte di cassazione – sezione Lavoro – ha annullato la sentenza n. 722/2018 con la quale la Corte di appello di Messina, in riforma della decisione del Tribunale, aveva riconosciuto la fondatezza della pretesa avanzata da un pubblico dipendente - incaricato dall’Amministrazione di appartenenza di svolgere per oltre un anno mansioni di livello superiore (Responsabile unità orgaizzativa - livello A) rispetto a quello rivestito (Geometra - livello A1) - volta ad ottenere la corresponsione di una somma pari alla differenze retributive tra i medesimi livelli.
I Giudici della Suprema Corte, nel richiamare costante e consolidata giurisprudenza di legittimità, hanno ribadito che nel pubblico impiego privatizzato il rapporto di lavoro è disciplinato esclusivamente dalla legge e dal ccnl di comparto, per cui anche in presenza di un atto deliberativo dell’Amministrazione, non possono essere riconosciuti al dipendente trattamenti economici non previsti dalle suddette fonti. Nel caso in cui fossero stati concessi facendo riferimento a un diverso ccnl, persiste in capo all’ente datore di lavoro l’obbligo di recupero delle somme erogate senza titolo.
I predetti Giudici hanno altresì rilevato che il percorso argomentativo seguito dalla decisione impugnata si è radicalmente discostato dai principi di cui sopra, a motivo che la Corte d’appello ha ritenuto che l'individuazione, da parte dell'Ente datore di lavoro, del trattamento economico contemplato dal contratto collettivo privatistico anziché da quello previsto dalla corretta fonte contrattuale valesse a determinare l'insorgenza in capo al dipendente di un diritto alla conservazione di tale medesimo trattamento, anche sulla scorta dell'art. 2126 c.c.
Per la Cassazione, invece, la circostanza, indiscussa, dell'applicazione da parte dell’ente di un trattamento economico riconducibile ad un contratto collettivo diverso da quello correttamente applicabile avrebbe dovuto condurre la Corte d'appello a concludere sia per la illegittimità di qualunque atto di determinazione da parte dell'Ente che comportasse l'applicazione da parte dello stesso di un contratto collettivo diverso da quello previsto dalla legge sia per la conseguente infondatezza della pretesa del dipendente, non trovando quest'ultima supporto nella previsione di cui al su citato art. 2126 c.c.
In conclusione, ricorso accolto, con conseguente rigetto della domanda proposta dal dipendente, controricorrente nel giudizio di legittimità.
Rocco Tritto