Con ordinanza n. 28790/2025, depositata lo scorso 31 ottobre, la Cassazione ha rigettato il ricorso proposto da un’azienda, con sedi sia in Italia che in altri undici paesi Ue, avverso la sentenza n.252/2020, della Corte di Appello di Firenze che, in parziale riforma della decisione del Tribunale, aveva accolto il ricorso in appello di alcune sigle sindacali.
Queste ultime, infatti, avevano avviato la procedura prevista dall’art. 28 della legge n. 300/1970 per far dichiarare l’antisindacalità del comportamento tenuto dall’azienda, che aveva preteso che gli incontri che si sarebbero dovuti tenere tra la DSN (delegazione speciale di negoziazione) e l’azienda stessa, al fine di trovare l’accordo per la costituzione ed il funzionamento del CAE (Comitato aziendale europeo) previsto dal d.lgs. n. 113/2012, in esecuzione della direttiva eurounitaria n. 2009/38, si svolgessero con il sistema della videoconferenza e in lingua inglese, senza l’ausilio di interpreti.
Le pretese datoriali, accolte in primo grado dal Tribunale, venivano invece, con la succitata sentenza depositata il 20 luglio 2020, in parte accolte e in parte respinte dalla Corte territoriale, per la quale, mentre la riunione in videoconferenza “doveva senz’altro ritenersi proposta ‘adeguata’, perché del tutto coerente alla ineludibile modernizzazione delle relazioni (...), senza perciò che una apodittica preclusione da parte dei sindacati potesse giustificarsi (…)”, non altrettanto “adeguata” si appalesava la seconda pretesa datoriale “di utilizzazione della sola lingua inglese da parte di tutti i componenti della DSN, all’evidenza certamente limitativa delle potenzialità di scambio da parte dei rappresentanti delle sigle sindacali, soprattutto se si teneva presente la disparata provenienza nazionale dei componenti, il loro possibile diverso grado di formazione culturale e sociale e soprattutto la patente diversa dimestichezza dell’uso della lingua inglese rispetto alla controparte datoriale ad operare tramite i suoi rappresentanti con tale strumento linguistico anche per il solo fatto di operare a livello internazionale”.
L’azienda appellante, non condividendo le argomentazioni della Corte d’appello, che riconoscevano sussistente il comportamento antisindacale della medesima azienda, presentava ricorso per cassazione, con cinque motivi a supporto, di cui tre venivano dichiarati inammissibili e due infondati dai Giudici della Suprema Corte.
Per questi ultimi, infatti, la decisione della Corte d’Appello, esente da ogni e qualsiasi vizio di legittimità, aveva colto nel segno, giudicando “inadeguata” la proposta “di utilizzazione della sola lingua inglese da parte di tutti i componenti della DSN, senza servizio di interpretariato”, epperciò “integrante condotta antisindacale”.
In conclusione, ricorso rigettato, con condanna della parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità e dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.
Rocco Tritto
giornalista pubblicista

