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Mercoledì, 24 Apr 2024

Ha suscitato molto interesse il servizio televisivo sul depuratore consortile di Lamezia Terme, andato in onda sul TGR Calabria lo scorso 18 ottobre.

In quella sede venivo intervistato a proposito del fenomeno della “fioritura algale”, che la scorsa estate ha flagellato buona parte del Mar Tirreno calabrese, con epicentro nel Lametino, dove il mare ha addirittura cambiato colore. Nel servizio televisivo, mostravo come il canale di scolo del depuratore attraversa in maniera plateale il Sito di Interesse Comunitario (SIC) “Dune dell’Angitola” prima di sfociare in mare, ed è ubicato all’interno di un’area già dichiarata dalla Regione Calabria ad “alta vulnerabilità da nitrati” e ad “alta vulnerabilità degli acquiferi”.
               
     
Poiché in quell’area le concentrazioni di nitrati superano il valore limite di 50 mg/l previsto per legge, e già si sono verificati ripetuti fenomeni di eutrofizzazione algale, il rischio di inquinamento delle falde acquifere e del degrado degli habitat è concreto. All’interno di quest’area – chiaramente delimitata come “Area sensibile Sant’Eufemia” nel Piano di Tutela delle Acque della Regione Calabria – si trova il depuratore consortile di Lamezia Terme.

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Si potrebbe obiettare che l’inquinamento da nitrati è principalmente di origine agricola e che il depuratore non può essere chiamato in causa per problemi causati da altri, ma non è così. Infatti, i microorganismi responsabili della depurazione usano come nutrimento le sostanze organiche presenti nelle acque reflue in ingresso ai depuratori, e le trasformano in nitrati attraverso complesse reazioni chimiche. Quindi, i processi di depurazione rischiano di aggiungere nitrati a nitrati, in un’area già dichiarata vulnerabile.

Per questo motivo, la legge impone valori limite più bassi e, nel caso di specie, livelli di depurazione più spinti. Per averne la conferma, basterebbe leggere il Piano di Tutela della Acque e verificare che l’acquifero di Sant’Eufemia è caratterizzato da una «situazione qualitativa negativa non attribuibile […] alla sola contaminazione agricola» tanto da determinarne uno “stato ecologico scadente”. Oppure basterebbe leggere la Direttiva 2008/56/CE che impone agli Stati di fissare dei «traguardi ambientali» per conseguire o mantenere un buono stato ecologico delle acque marine, oppure la Direttiva 91/676/CEE, che parla di individuazione di «zone vulnerabili» in base all’inquinamento o al concorso d’inquinamento dei corsi d’acqua già inquinati (art. 3, comma 2).
               
               
Per tutelare i corpi idrici, in alcune aree – classificate a seconda dei casi di legge come «aree sensibili» oppure come «zone vulnerabili» – devono essere attuate “specifiche misure di prevenzione dall’inquinamento e di risanamento”. Per quanto riguarda le «aree sensibili», esse vengono individuate ex lege sulla base dei criteri indicati nell’art. 91 del D. Lgs 152/2006. Tra questi criteri, rientrano le «zone umide individuate ai sensi della Convenzione di Ramsar», di cui in Calabria proprio l’Oasi WWF Lago dell’Angitola è un pregevole esempio. Le Regioni possono inoltre decidere che, misure specifiche vengano adottate – oltre che nelle zone umide – anche nei «bacini drenanti nelle aree sensibili». Cosa che è avvenuta. Infatti, sempre nel documento intitolato “Piano di Tutela delle Acque”, la Regione Calabria ha delimitato in 154,65 km2 il bacino drenante dell’Angitola, e si è inoltre dotata di un programma d'azione per l’intero “bacino idrogeologico di Lamezia Terme”, nonché di codici di buona pratica agricola per la stessa area. Come se non bastasse, la Regione Calabria si è dovuta dotare pure di uno specifico piano di gestione del SIC “Dune dell’Angitola”, che impone tra l’altro sia di eliminare o ridurre i principali fattori di pressione antropica e di disturbo sugli ecosistemi, sia di identificare i motivi per cui possono determinarsi degli impatti negativi sullo stato di conservazione del sito. Nonostante ciò, nulla si dice riguardo alle buone pratiche da osservare in materia di depurazione.

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Ma se l’interesse prevalente è quello di tutelare le falde acquifere, occorre allora prevedere misure specifiche volte alla riduzione dei nitrati nei corsi d’acqua da qualsiasi fonte essi provengano. Depuratori compresi. A norma di legge, il depuratore deve, infatti, attenersi ai valori limite presenti nella tabella 2 dell’allegato cinque alla parte terza del D. Lgs. 152/2006, ed invece – sorprendentemente – l’impianto è autorizzato dalla Provincia di Catanzaro ad attenersi alla tabella 1 e alla tabella 3. Qual è la differenza?

La tabella 1 si riferisce ad «acque reflue urbane» in impianti di depurazione di medio-piccole dimensioni, rispettivamente tra i 2.000 - 10.000 abitanti equivalenti e maggiori di 10.000 abitanti equivalenti. Per questi tipi di impianti, sono previsti criteri semplificati (BOD5, COD, e Solidi Sospesi). La tabella 2 si riferisce invece ad «acque reflue urbane in aree sensibili» e prescrive l’inclusione di due ulteriori parametri, fosforo totale e azoto totale. Poiché l’impianto di Lamezia è tarato per più di 100.000 abitanti equivalenti (fonte ASICAT), allora i limiti di legge per fosforo totale e azoto totale dovrebbero essere rispettivamente minori o uguali a 1 mg/l e minori o uguali a 10 mg/l. La tabella 3 prevede invece una lista di criteri molto più lunga, ma con valori limite decisamente più alti, considerato che si riferisce alle aree industriali. A titolo di esempio, nella tabella 2 il valore limite di fosforo totale è fissato a un livello “minore o uguale a 1 mg/l”, mentre nella tabella 3 è fissato a un livello “minore o uguale a 10 mg/l”. Dieci volte tanto. La domanda biochimica di ossigeno (BOD5) è invece fissata a un livello “minore o uguale a 25 mg/l” nella tabella 1, mentre è stabilita a un livello “minore o uguale a 250 mg/l” nella tabella 3. Cento volte tanto.

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Detto in parole semplici, la Provincia di Catanzaro ha autorizzato lo scarico di «acque reflue urbane» provenienti dal depuratore di Lamezia Terme sulla base dei valori limite previsti per le «aree industriali» ma senza tenere in alcun conto la presenza di «aree sensibili» né il fatto che lo scarico sversa all’interno del perimetro del Sito di Interesse Comunitario “Dune dell’Angitola”, per il quale valgono gli obblighi previsti dalla Direttiva “Habitat”. Come mai questa svista?

Azoto e fosforo sono nutrienti considerati la principale causa di inquinamento delle falde acquifere, del degrado degli habitat e perfino della fioritura algale, per come affermato dall’Arpacal nel suo recente Rapporto di balneazione, quando dice che "alcuni fattori favoriscono le fioriture algali, quali le temperature elevate, la biodisponibilità di azoto e fosforo, lo scarso ricambio idrico e l’apporto di acque dolci da torrenti, fiumi e scarichi." Come mai dunque la “biodisponibilità di azoto e fosforo” non viene attentamente monitorata, nonostante ci si trovi manifestamente in un’area sensibile? Possibile che nessuna valutazione d’incidenza abbia fatto rilevare finora queste criticità?

Stranamente, le analisi effettuate sul depuratore non riguardano in generale i dati relativi all’azoto totale e al fosforo totale sia in ingresso che in uscita dall'impianto di depurazione. Cosa ancora più strana, questi dati a volte mancano, altre volte no. Dai dati sul depuratore disponibili sul sito web del Comune di Lamezia Terme, si può verificare che – nel 2016 – delle otto rilevazioni mensili finora disponibili, solo in due casi sono indicati i valori relativi all’azoto totale e al fosforo totale, sia in ingresso che in uscita dall'impianto di depurazione. Quando presenti, questi dati indicano sempre uno sforamento rispetto alla tabella 2, non però in base alla tabella 3.

Stessa storia per gli anni precedenti. I dati a volte ci sono, altre volte no. Perché? Senza questi dati, in questo momento, risulta impossibile monitorare e controllare gli effetti delle attività antropiche sulle matrici ambientali aria, acqua, suolo, ecosistemi. Ma soprattutto, si tratta di dati necessari per assolvere agli obblighi informativi previsti dalla Commissione Europea riguardo allo stato di attuazione di varie Direttive Europee, tra cui quella sulle acque reflue (91/271/CE), sulla protezione degli habitat (92/43/CEE) e sulle valutazioni di impatto strategico (42/2001/CE), e che, in mancanza, potrebbero configurare il rischio di una nuova procedura di infrazione nei confronti della Calabria, che già oggi viene multata – per le stesse problematiche – su sentenza della Corte di Giustizia Europea.

Rivolgiamo pertanto un pressante invito a tutte le autorità competenti (Regione Calabria, Provincia di Catanzaro, Arpacal) a voler riconsiderare l’autorizzazione allo scarico del depuratore nel canale di scolo per adeguarlo alla più stringente normativa prevista per le aree sensibili, convinti che non può esserci alcuna giustificazione per eventuali sviste, superficialità o inadempienze in un settore tanto delicato quale la salvaguardia dell’ambiente e della salute umana.

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*Economista specializzato in Sostenibilità economica e ambientale

 

 

 

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