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Sabato, 20 Apr 2024

Il 1° marzo scorso, sul Corriere del Mezzogiorno, a firma dell'ottimo Roberto Russo, sono apparsi due articoli, a mio avviso inquietanti, perché riguardano la sorveglianza - svolta dall’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) - dei Campi Flegrei, uno dei vulcani attivi più pericolosi al mondo in prossimità di un’area fortemente antropizzata.

Ai Campi Flegrei, dal 2013 si osservano variazioni nell’attività vulcanica tanto che, secondo il piano di emergenza del Dipartimento della Protezione Civile (DPC), l’attenzione è stata alzata al livello giallo di allerta. Il livello giallo, uno dei quattro previsti, significa potenziamento dell’osservazione scientifica che in ogni caso, secondo la convenzione INGV-DPC stabilita da una legge dello Stato, deve essere costantemente al meglio delle tecnologie esistenti.

Il Corriere del Mezzogiorno riporta anche la foto di una voragine creatasi alla Solfatara nel 2014, che giustificava pienamente la decisione di alzare il livello di allerta presa l’anno precedente. Un fortissimo campanello di allarme che doveva far aumentare ulteriormente l’attenzione. Invece, il formarsi della voragine, per quel che è dato sapere, è stato ignorato. Tanto che il fenomeno sarebbe stato dimenticato se la foto non fosse stata fornita da una preoccupatissima abitante del luogo.

Purtroppo, il 12 settembre si è verificata una tragedia terribile: alla Solfatara si è formata un’altra voragine che, questa volta, ha inghiottito una famiglia: un bambino e i genitori che hanno cercato di salvarlo. Sul Foglietto dell’8 febbraio scorso abbiamo già parlato delle incongruenze scientifiche connesse a quell’episodio tristissimo.

Sulla sorveglianza alla Solfatara, grazie al Corriere, si viene a sapere che, per il presidente dell’INGV:

1.L’Istituto non è tenuto al monitoraggio di superficie.

2.Le anomalie gravimetriche sono state comunicate regolarmente al DPC alla fine del gennaio 2017.

3.Le tecniche di misura usate non consentono una risoluzione tale da individuare cavità in prossimità della superficie.

4.Il monitoraggio della formazione di cavità in prossimità della superficie non spetta all’INGV avendo solo il “mandato di sorveglianza del rischio eruttivo”.

5.La tragedia è un evento di cui non c’era memoria e quindi era del tutto inatteso per la comunità scientifica nazionale e internazionale.

Sulla stessa pagina del quotidiano appare anche un’intervista rilasciata da un dirigente di ricerca dell’Osservatorio Vesuviano, sezione napoletana dell’INGV. È un fisico che da decenni si occupa dei Campi Flegrei. Lamenta di non essere stato reso edotto dei risultati delle campagne gravimetriche svolte nel 2016. Dati estremamente preziosi, a suo avviso, per meglio capire la crisi che da qualche anno è in atto. In altre parole, egli afferma, in un documento ufficiale inviato per posta PEC, che questi dati sono rimasti chiusi in qualche cassetto e si lascia intendere persino che non siano stati forniti al DPC o forniti con ritardo.

Quanto alle affermazioni del presidente dell’INGV, ritengo che:

1.Semplicemente, la prima affermazione non appare accettabile. Che senso ha? Come è possibile che geofisici e vulcanologi non siano tenuti a “monitorare la superficie terrestre”? Stiamo scherzando?

2.Se, come dichiarato dal presidente dell’INGV, il DPC fosse stato regolarmente informato nel gennaio 2017 (circa otto mesi prima della disgrazia di settembre), e se nessun provvedimento fosse stato preso, si aprirebbero ipotesi preoccupanti. Siamo sicuri che la comunicazione sia avvenuta “regolarmente”? In altre parole: sono state spiegate le implicazioni delle anomalie gravimetriche in un sistema come quello della Solfatara? Le informazioni sono giunte veramente in tempo utile?

3.In riferimento alla terza affermazione del presidente INGV, ricordiamo un brano preso dalle relazioni semestrali dell’Osservatorio Vesuviano, già ricordato nel Foglietto dell’8 febbraio 2018: “La diminuzione di gravità osservata da marzo, sebbene concorde come andamento con il sollevamento, non è giustificata dall’ampiezza dello stesso, che è risultato nel periodo marzo-ottobre di 5.6 cm equivalente ad una diminuzione di g di circa -16 μGal. Quindi, le variazioni di gravità sono da associare quasi esclusivamente a variazioni di massa/densità nel sottosuolo, come ad esempio quelle dovute a formazioni di vuoti e/o fratture.” Si parla esplicitamente di cavità e, conoscendo un po’ di Fisica, risulta difficile immaginare cavità in profondità nella crosta terrestre. Se i Campi Flegrei sono ad un livello giallo di allerta è ovvio che tutti i dati possono risultare utili ed è doveroso raffinare il più possibile le osservazioni. Esistono tecniche molto semplici per verificare se esistono e quanto sono vicine alla superficie eventuali cavità.

4.Il “monitoraggio di cavità” non è compito dell’INGV! E chi se ne dovrebbe occupare allora? L’INGV avrebbe solo “il mandato di sorveglianza del rischio vulcanico”. Anche ignorando l’assurdità lessicale “sorveglianza del rischio”, la formazione di cavità è un dato prezioso per valutare la probabilità di un’eruzione, come risulta dall’intervista del ricercatore del Vesuviano e come, soprattutto, è ovvio. All’INGV di tanti anni fa, grazie all’abilità di un tecnologo, furono sviluppate tecnologie efficaci per mostrare la struttura delle prime decine di metri della crosta, tanto da consentire la scoperta di rifiuti tossici sotterrati illegalmente. Ancor più facile dovrebbe essere allora scoprire vuoti. In ogni caso, allo scopo esistono strumentazioni utilizzabili anche da chi ha scarsa dimestichezza con le misure fisiche.

5.È insopportabile leggere una dichiarazione, di chi ha un compito fondamentale per la sicurezza dei cittadini, in cui si arriva a dire che non c’era memoria di un evento come quello che ha determinato la tragedia del settembre 2017. E come si interpreta allora la voragine del 2014, mostrata dal Corriere? E perché alcune zone della Solfatara sono transennate? Per impedire ai visitatori di avventurarsi in zone ove si potrebbero formare pericolosissime voragini! Qualcuno frequenta la comunità nazionale ed internazionale sbagliata?

Sempre più gravi ed evidenti, a mio avviso, appaiono omissioni, inadempienze e incompetenze in una struttura che, per definizione, è dedita alla ricerca che ha come scopo primario la sicurezza di un Paese fortemente sismico e vulcanico. L’INGV non è come l’Università, dove il singolo docente o gruppi di docenti, dediti all’insegnamento, sono legalmente liberi di dedicarsi alle ricerche che prediligono. La legge che istituisce l’INGV ha uno dei fondamenti proprio sul rapporto ufficiale con il DPC, che evidenzia la necessità inderogabile dell’ente e ne determina il grande sviluppo.

Assimilare e confondere il modo di operare di un ente come l’INGV con quello delle Università, non solo significa non aver compreso la dimensione dei problemi in gioco ma, come numerosi recenti avvenimenti dimostrano, implica una riduzione della qualità e della tempestività delle informazioni fornite.

A dimostrazione di quanto asserito, si ricordi che il rilancio dell’ING (poi divenuto INGV) iniziò nel 1982, dopo e in conseguenza dei devastanti terremoti del Friuli, 1976, e dell’Irpinia, 1980, che dimostrarono platealmente che la ventina di corsi di laurea in Geologia in giro per l’Italia non erano assolutamente in grado di interpretare e gestire sul piano scientifico eventi simili. Era necessario un ente che vi fosse dedicato in maniera esclusiva, disponendo di competenze specializzate, come già avveniva nei Paesi sismici evoluti. Nacquero così reti di sorveglianza tecnologicamente avanzate e banche dati utili a fornire tempestive informazioni ai responsabili della Protezione Civile affinché potessero prendere decisioni le più rapide possibili.

Da questo punto di vista, la situazione dei numerosi corsi di laurea in Geologia italiani, con rarissime eccezioni, è rimasta inalterata, se non peggiorata, negli ultimi 30-40 anni.

Cercare di ritornare a prima del 1980, appare, a dir poco, privo di senso.

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Geofisico dell’Accademia dei Lincei

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