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Mercoledì, 24 Apr 2024

ALBERICI GENTILIS De papatu Romano Antichristo, recognovit e codice autographo bodleiano D’Orville 607 di Giovanni Minnucci (Archivio per la Storia del diritto medioevale e moderno; Studi e Testi, 17); Monduzzi editoriale, Milano 2018, pp. CLXII+352, euro 62.

Recensione di Roberto Tomei

Trascorsa la parte iniziale della vita a San Ginesio nelle Marche, dove nasce il 14 gennaio 1552, Alberico Gentili si laurea in diritto civile il 23 settembre 1572. Costretto a fuggire nel 1579 insieme al padre Matteo, medico, e al fratello Scipione, a causa della sua adesione alle dottrine riformate, ripara dapprima a Lubiana, per poi passare in Germania e giungere, infine, a Londra nel 1580. Entrato in contatto con il circolo politico-culturale di Corte, che ha le sue figure più prestigiose in Robert Dudley, conte di Leicester, e nel Segretario di Stato sir Francis Walsingham, viene cooptato fra i dottori di diritto civile all’Università di Oxford.

Successivamente, entra in relazione con Giordano Bruno: un rapporto che continuerà nel 1586 a Wittenberg dove Gentili si reca molto probabilmente per cercare di ottenere una posizione in qualche Università tedesca. Tutto ciò a causa dell’opposizione che alcuni settori del partito puritano, capeggiati dal teologo John Rainolds (a lungo suo implacabile ed acerrimo avversario), avevano sollevato alla proposta di nomina a regius professor di civil law a Oxford.

Malgrado ciò, grazie ai buoni uffici del Leicester e del Walsingham, con decreto reale di Elisabetta I dell’8 giugno 1587, Gentili ottiene la nomina: è l’ottavo (primo straniero e, sino ad oggi, unico italiano) titolare della prestigiosa cattedra istituita nel 1540 a Oxford e Cambridge da Enrico VIII. Nel 1598 pubblica la sua opera più nota, i De iure belli libri III: testo che ha indotto la storiografia ad annoverarlo, insieme a Ugo Grozio, fra i padri fondatori del diritto internazionale moderno. Nel 1602-1603 la S. Congregazione dell’Indice inserisce le sue opere nell’Index Librorum prohibitorum. Viene sepolto a Londra, nella chiesa St. Helen’s Bishopsgate (19 giugno 1608).

Oltre ai De iure belli libri tres, Alberico Gentili scrisse numerosi importanti lavori dati alle stampe fra il 1582 e il 1607; altri vennero pubblicati postumi o restarono inediti. Fra questi ultimi: il De papatu Romano Antichristo, ora criticamente edito da Giovanni Minnucci, ordinario di Storia del diritto medievale e moderno nel Dipartimento di Scienze Politiche e Internazionali dell’Università di Siena che, di Gentili, aveva già pubblicato l’inedito Commentario ad Legem Juliam de adulteriis (2002).

Conservato nella Bodleian Library di Oxford (D’Orville 607, ff. 1r-95v), il De papatu rappresenta il più noto degli inediti gentiliani al quale, soprattutto a partire dal secolo scorso, gli studiosi hanno dedicato particolare attenzione. Nuove indagini sul manoscritto hanno dimostrato che, pur essendo stato originariamente redatto fra il 1580 e il 1585, quel testo era stato rivisto, corretto e integrato dallo stesso Gentili. Correzioni, aggiunte, appunti scritti dall’Autore almeno fino al 1591: una novità deducibile dalla lettura di alcuni appunti autografi vergati in uno dei primi fogli del manoscritto bodleiano – fogli originariamente destinati a restare bianchi – ove si fa rinvio, più volte, al Tractatus criminalis di Tiberio Deciani la cui editio princeps risale al 1590.

Per tentare di comprendere pienamente l’entità e la natura sostanziale di queste modifiche e annotazioni, e le ragioni per le quali il Gentili non giunse mai alla determinazione di completare e successivamente pubblicare il lavoro, occorreva tornare a studiare criticamente la fonte manoscritta nella sua interezza, ma soprattutto predisporne l’edizione critica. Il progetto, dopo oltre sei anni di intenso lavoro da parte di Giovanni Minnucci che, nel corso di questo lungo periodo, ha dato periodicamente conto dei risultati progressivamente raggiunti, è stato finalmente portato a compimento.

Composta di 24 Assertiones, attraverso le quali l’A. intese dimostrare che l’Anticristo era da identificare nel Papato Romano, l’opera è dedicata alla trattazione di alcuni temi di natura teologica e giuridica. Solo per fare alcuni esempi, si possono ricordare il culto delle immagini, i Sacramenti, il celibato ecclesiastico, il Purgatorio, il culto dei santi e delle reliquie, il libero arbitrio, i miracoli, la giustificazione ex sola fide e le bonae operae, il potere temporale del Papa e il Primato Romano.

Il testo è corredato da un numero copiosissimo di allegazioni tratte dalla Sacra Scrittura, dalle opere dei Padri della Chiesa, da quelle teologiche, storiche, filosofiche, letterarie e giuridiche, individuate dal curatore, a pié di pagina, in un apposito apparato critico. In un secondo apparato, sempre a pié di pagina, vengono edite anche le numerose additiones che Gentili vergò nei margini e, talvolta, nelle interlinee del testo. Segue un’Appendice nella quale si legge il testo, criticamente edito, degli appunti di lavoro che Gentili annotò nel frontespizio e nei fogli iniziali e finale del manoscritto inizialmente destinati a restare bianchi.

In ragione della particolare natura del testo – un vero e proprio work in progress che Alberico Gentili non aveva mai concluso – l’edizione critica del De papatu Romano Antichristo, delle numerose additiones e dei cospicui appunti sparsi che ne caratterizzavano la stesura, era meritevole di essere accompagnata da un saggio introduttivo. Per una migliore comprensione dell’opera, e per una sua più compiuta, ancorché preliminare, illustrazione, Giovanni Minnucci ha ritenuto necessario soffermarsi sulle presumibili ragioni sottese alla decisione assunta da Gentili di voler affrontare il tema oggetto del suo lavoro e sulle fonti complessivamente utilizzate – avendo riguardo anche a quelle prive di esplicito rinvio – cercando di approfondire, allo stesso tempo, la natura delle additiones vergate nei margini e nelle interlinee, e le probabili motivazioni della sua mancata pubblicazione.

Né potevano essere ignorate, infine, in ragione dei contenuti eminentemente teologici e giuridici dell’inedito, le idee che, in relazione ai rapporti fra diritto e teologia e fra coloro che quelle discipline professavano, il nostro Autore aveva espresso negli anni ai quali va fatta risalire la conclusione della prima redazione dell’opera e a quelli immediatamente seguenti, allorquando decideva di aggiornarla e modificarla. Temi e problemi già oggetto di studio da parte di Minnucci, che vengono qui ripresi, integrati, approfonditi e notevolmente ampliati nei Prolegomena che precedono l’edizione. Il volume è corredato dagli Indici dei manoscritti, delle Fonti, dei nomi e dei luoghi.

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