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Venerdì, 19 Apr 2024

Boschi fotoIl 9 febbraio 2018, presso la mia abitazione di Bologna, un funzionario mi notificò, da parte della Procura Generale presso la Corte dei conti, Sezione giurisdizionale per il Lazio, un invito a fornire deduzioni a seguito di un esposto inoltrato dalla direttrice generale dell’INGV, concernente un presunto danno erariale che, da Presidente INGV, avrei commesso.

Nel documento si leggeva che il suddetto danno erariale sarebbe avvenuto nel 2009, con la sottoscrizione - senza la necessaria copertura finanziaria - di un preliminare di acquisto, da una società pubblica interamente posseduta dal Comune di Pisa, di una sede definitiva per la sezione di Pisa dello stesso INGV, una porzione di un immobile comunale polifunzionale in fase di costruzione nel centro della città, che prevedeva il versamento di un anticipo di 360mila euro, a fronte di un prezzo complessivo di 9 milioni di euro.

Non ho alcuna remora ad ammettere che la cosa mi addolorò e non tanto per i 360.000 euro, che rischiavo di dover sborsare, ma per il fatto che in quel frangente ebbi la sensazione di aver buttato via energia e salute per 29 anni della mia vita, praticamente tutta la mia vita professionale, inseguendo il sogno di creare uno dei più grandi e prestigiosi enti di ricerca geofisica al mondo malgrado le regole e le leggi del mio Paese, fortemente sismico e vulcanico, non mi aiutassero.

Il 29 settembre 1999, il decreto legislativo 381 istituì l’Istituito Nazionale di Geofisica e Vulcanologia. Diventò completamente operativo il 19 gennaio 2001 quando l’allora Ministro MIUR Ortensio Zecchino firmò tutti gli atti esecutivi. In quella circostanza il Ministro ebbe anche la compiacenza di firmare e dare il via al “Progetto Irpinia”, che avevo inutilmente proposto al Ministro precedente, per ben 60 miliardi di lire dell’epoca!

Con il decreto 381, l’INGV subentrava a tutte le obbligazioni attive e passive degli enti che vi confluirono: l’Istituto Nazionale di Geofisica con sede a Roma, l’Osservatorio Vesuviano di Napoli, tre Istituti del CNR (Milano, Catania e Palermo), il Gruppo Nazionale Difesa dai Terremoti e il Gruppo Nazionale Vulcanologia, entrambi del CNR.

Fu la classica operazione a costo zero. Solo l’ING era in condizioni floride: sede prestigiosa, finanziamenti adeguati e pianta organica che consentiva potenziamenti e carriere. Il che mi fa tornare in mente Franco Bassanini che, nella sua veste di Ministro della Funzione Pubblica, aveva provveduto, in seguito alla sequenza sismica Umbria-Marche del 1997-98, ad ampliare notevolmente la misera pianta organica dell’ING.

Purtroppo, le altre strutture erano in condizioni molto diverse: sedi di fortuna o inesistenti, finanziamenti praticamente nulli, piante organiche poverissime e, soprattutto, un enorme numero di precari, per fortuna in maggioranza ottimi ricercatori anche se alcuni addirittura non avevano titoli scientifici ma in discipline umanistiche. Decisi comunque di tenerli tutti anche se la legge non mi obbligava: sarebbe bastato non rinnovare i contratti per semplificarmi la vita.

La sezione di Milano aveva una propria sede che però il CNR rivendicava come sua costringendoci a uno snervante braccio di ferro. Catania era in un edificio che il proprietario, un nobile locale, aveva venduto a un gruppo industriale che avrebbe potuto sfrattarci in qualunque momento. L’Osservatorio Vesuviano era in affitto, molto costoso, insieme a gruppi CNR in un grande edificio. Interi gruppi di ricercatori, per lo più precari in giro per l’Italia, erano diventati parte dell’INGV ma non avevano un luogo dove poter lavorare serenamente.

Particolarmente difficile era la situazione dei Palermitani e di un gran numero di Pisani. Questi ultimi tuttora operano in una palazzina non adatta ad un luogo di lavoro. I Palermitani erano ristretti, e temo lo siano tuttora, in un edificio che all’epoca sembrava avere non pochi problemi anche di natura legale. Per ragioni di sicurezza, in qualunque momento, più di un centinaio di ricercatori e tecnici tuttora potrebbero essere sfrattati dal luogo di lavoro.

Una situazione di difficilissima soluzione. Era urgente mettere i ricercatori e i tecnici in condizione di operare proficuamente per il Paese più sismico e vulcanico d’Europa. La cosa inizialmente non mi preoccupò particolarmente: l’allora Ministro della Ricerca, Luigi Berlinguer, mi aveva informato che non intendeva nominarmi alla presidenza del nuovo ente benché, come è d’uso dire in queste circostanze, mi stimasse molto. Berlinguer, quasi a giustificarsi, aggiunse che l’allora Sottosegretario alla Protezione Civile gli aveva suggerito di nominare qualcun altro.

Proprio mentre mi dedicavo a “fare gli scatoloni”, cadde il Governo in carica e si formò il Governo D’Alema. Al MIUR arrivò Ortensio Zecchino, che non conoscevo personalmente. Una decina di giorni dopo mi convocò al Ministero per comunicarmi che intendeva nominarmi al vertice dell’INGV spiegandomi anche come aveva effettuato la scelta. Aveva fatto analizzare quale degli enti che avevano contribuito a formare l’INGV fosse meglio gestito.

Tutto questo è la premessa di una vicenda che riguarda me ma che credo sia di interesse anche per altri.

Tre giorni fa, il 2 luglio 2018, la Corte dei conti mi ha informato di aver archiviato le accuse rivoltemi.

Tutto è bene quel che finisce bene? Niente affatto!

Attraverso la Corte dei conti, si è cercato, forse, di farmi passare per un povero demente che si impegna ad acquistare immobili senza sapere se servano realmente, senza chiedere quanto costano e, addirittura, senza porsi il problema se sono disponibili i denari necessari per l’acquisto.

Le accuse rivoltemi nascono, forse, da una ricerca minuziosa di eventuali manchevolezze amministrative durante la mia presidenza, benché piena di successi. Il punto di partenza per accusarmi è nel verbale del Consiglio Direttivo dell’INGV del 24.2.2009, che recita:

“Dopo articolata discussione, il Consiglio stabilisce di autorizzare il Presidente a sottoscrivere il pre-contratto ma solo dopo aver acquisito la certezza che la Cassa Depositi e Prestiti erogherà un mutuo capace di coprire non solo l'investimento in discorso ma anche quello relativo all'adeguamento della nuova sede di Palermo e compatibile con quello già in corso per Catania”.

In altre parole, secondo quanto riportato nell’esposto, avrei sottoscritto il pre-contratto senza la certezza del mutuo, cioè senza la copertura finanziaria, mettendomi così nei guai da solo, per mancanza di esperienza! Andavo quindi severamente punito per tanta leggerezza!

Ai “miei tempi”, i testi dei verbali del Consiglio venivano preparati dall’ottimo Direttore Generale dell’epoca, che aveva anche il ruolo di verbalizzante. Per essere approvati, li inviavamo ai consiglieri in modo che potessero emendarli, se lo ritenevano necessario, prima di ratificarli.

Ricordo questo per far capire che la locuzione “acquisire la certezza” non mi venne imposta, come sembrerebbe nell’esposto, ma la inserimmo per una ben precisa finalità interna e soprattutto perché avevamo già acquisita la certezza del mutuo. La locuzione serviva a indicare la strada che si intendeva seguire e per ben organizzare le priorità delle giuste e insistenti richieste che arrivavano dalle varie sedi e dai gruppi di ricercatori.

Nell’esposto contro di me, infatti, risulta scritto:

“Durante il Consiglio Direttivo del 27.02.2009-verbale n. 1/2009 il Consiglio precisava di autorizzare il Presidente a sottoscrivere Il preliminare solo dopo aver acquisito la certezza che la Cassa Depositi e Prestiti avrebbe erogato il mutuo finalizzato a coprire l’investimento di cui al predetto accordo pre-negoziale”

Tralasciando, chissà per quale motivo, il riferimento a Palermo e a Catania, il significato della delibera del Consiglio risulta distorto. Già dal 2008, avevamo la certezza del mutuo da parte della Cassa, grazie alla quale avevamo già acquistato la sede di Catania. Nel 2009, semplicemente non eravamo in grado di stabilire la cifra da chiedere alla Cassa. Questo sopratutto a causa della sede di Palermo: ci era stato donato un ottimo edificio confiscato alla mafia, che richiedeva però una ristrutturazione notevole per renderlo adatto agli scopi dell’INGV.

All’epoca dei fatti, l’Istituto da me presieduto era comunque “ricco”, cioè disponeva della copertura finanziaria sufficiente ad acquistare la sede di Pisa anche senza mutuo, come appare in modo lampante dalle relazioni della stessa Corte dei conti. Restava, tuttavia, impossibile quantificare con precisione l’impegno finanziario per Palermo.

Il pre-contratto fu sottoscritto prima del contratto di mutuo – che, purtroppo per l’INGV, non verrà mai perfezionato dai miei successori - ma dopo aver acquisito l’assoluta certezza della disponibilità della Cassa a finanziare l’Ente. Da notare, come si evince dai verbali del CdA, che i miei successori non fanno mai riferimento all’ottenimento del mutuo, che era evidentemente certo anche per loro, ma soltanto all’impegno finanziario che comportava, ritenuto eccessivo, a loro avviso.

In queste operazioni, l'ente non agiva in modo improvvisato, come l’esposto lascerebbe intendere, ma supportato da una legge. Mi riferisco all’art. 8, comma 5, della Legge n. 168/1989 (la “Legge Ruberti” sull’autonomia di Università ed Enti di Ricerca), in base al quale le università e gli EPR possono contrarre mutui esclusivamente per le spese di investimento. In tal caso, il relativo onere complessivo di ammortamento annuo non può comunque superare il 15 per cento dei finanziamenti a ciascuna università o EPR trasferiti ai sensi della lettera b) del comma 2 (contributo di funzionamento)”.

Nella peggiore delle ipotesi, il 15% del contributo di funzionamento assegnato all’INGV in quel periodo ammontava almeno a € 7.500.000,00. Pertanto, l’INGV aveva un margine enorme di manovra per accollarsi mutui.

Il pre-contratto con la società del Comune di Pisa prevedeva che i pagamenti sarebbero stati spalmati su più esercizi: di conseguenza, non veniva esclusa l’eventualità di farvi fronte con risorse ordinarie di Bilancio, riducendo corrispondentemente l’importo del mutuo da richiedere.

Firmai il contratto preliminare il 14 maggio 2009. Il testo integrale è al protocollo n. 0000542 del 12 giugno 2009 dell’Istituto. In esso si conviene, al punto 6, che il contratto definitivo sarebbe stato stipulato entro 90 giorni dal momento in cui sarebbe stata ottenuta l’agibilità. Chi conosce queste procedure, sa che per arrivare al contratto definitivo sarebbero passati due o tre anni. Quel tempo sarebbe servito non solo a rivedere le necessità per la sede di Pisa ma anche a valutare con esattezza i denari necessari per Palermo.

È incomprensibile il comportamento dei miei successori che, invece di seguire la strada tracciata, hanno lasciato alcune centinaia di persone in sgradevoli condizioni lavorative. Le difficoltà evidentemente non erano finanziarie, visto che poi furono in grado di trovare in fretta e furia circa 930.000 euro per far fronte a un decreto ingiuntivo della proprietà dell’edificando immobile, che - ripeto - era ed è una società interamente posseduta dal Comune di Pisa. Adesso i ricercatori lavorerebbero in sedi adeguate.

Se il 14 maggio 2009 non avessi firmato il contratto preliminare, tutta l’operazione non sarebbe partita: a Pisa, diceva l’allora Direttore della sezione, Augusto Neri, non c’erano altre possibilità di trovare edifici adeguati.

È, inoltre, disponibile un documento ufficiale scritto dallo stesso Direttore della Sezione di Pisa, che collaborò nel portare avanti tutta l’operazione, facendo anche effettuare a un perito, in data anteriore alla sottoscrizione del preliminare, la valutazione di congruità del prezzo dell’immobile determinato in 9 milioni di euro. Il documento spiega chiaramente le necessità di spazio della Sezione. Spiega anche come si è arrivati all’accordo con la società del Comune di Pisa, nel pienissimo rispetto delle leggi vigenti, tenendo presente la congruità dei costi.

Da parte mia, presiedevo il Consiglio Direttivo dell’INGV, ne stabilivo l’ordine del giorno, mentre l’esperto e capace Direttore Generale dell’epoca redigeva il verbale da sottoporre all’approvazione dei membri del Consiglio stesso. Alle riunioni del Consiglio pretendevo sempre la partecipazione del presidente del Collegio dei Revisori dei Conti, proprio a garanzia della regolarità degli atti. Questo per spiegare che si evitavano decisioni non solo minimamente irregolari ma che addirittura potessero apparire tali.

Mi riservo, comunque, di tornare su questa assurda vicenda nella quale, considerata la mia assoluta buonafede, non posso far altro che pensare che forse qualcuno, magari ispirato da animus nocendi, abbia cercato, ma senza successo, di coinvolgermi.

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Presidente ING-INGV 1982-2011

 

 

 

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