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Venerdì, 05 Lug 2024

La lettera

Caro Foglietto, ho appena concluso un concorso per ricercatore bandito dal CNR (Bando N. 364.96: “Concorso pubblico per titoli ed esami per l’assunzione con contratto a tempo indeterminato di complessive ottantuno unità di personale – profilo ricercatore terzo livello presso Istituti/strutture del CNR dislocati nelle regioni Abruzzo – Lazio – Umbria”) pubblicato sulla G.U. n. 99 del 29/12/2009 e n. 13 del 16/02/2010), la cui prova orale si è svolta nella sede di via dei Taurini a Roma lo scorso 28 novembre 2011.

In attesa della pubblicazione dei risultati, desidero richiamare l’attenzione su alcuni aspetti che, nella conduzione di questo concorso, mi hanno lasciata un po’ perplessa e sui quali mi riservo, a tempo debito, di fare un po’ di chiarezza con gli strumenti forniti dalla legge.

Risulta in primo luogo piuttosto discutibile il poco peso (direi, irrisorio) che la commissione  ha assegnato ai titoli in possesso dei candidati. Il bando prevedeva, infatti, oltre che due prove scritte e una prova orale (la somma dei punteggi di tali prove poteva raggiungere un massimo di 70), anche una valutazione dei titoli, per la quale vi erano a disposizione 40 punti, da assegnare (secondo un cervellotico conteggio che tralascio) sulla base del curriculum e delle pubblicazioni.

Un primo dato emerso da una verifica effettuata fra i candidati che, come me, hanno sostenuto la prova orale (otto in tutto) risulta piuttosto sorprendente, dal momento che il punteggio più alto che la commissione ha attribuito per i titoli è di appena 14,90/40; il dato, ripeto, risulta sorprendente, considerato che tale punteggio e punteggi anche inferiori siano stati assegnati a candidati che possono vantare almeno due titoli post-lauream (dottorato e specializzazione, oltre che, in qualche caso, altro titolo equiparabile ad un secondo dottorato), una più che decennale attività di lavoro e di ricerca nel campo oggetto del concorso, e molte più delle cinque pubblicazioni previste dal bando (e fra tali pubblicazioni sono presenti anche corpose monografie, edite in sedi prestigiose e riconosciute a livello internazionale).

Ciò che più dispiace è che, ad un primo “sondaggio”, per almeno due di questi candidati la somma dei punti assegnati alle prove scritte, ai titoli e all’orale non sia stata neanche sufficiente per raggiungere il minimo (70) necessario per  essere giudicati idonei (fermo restando il valore di mero “premio di consolazione” dell’idoneità).

Alla luce di quanto detto, è lecito domandarsi quali requisiti bisognasse possedere per vedersi riconosciuto, nella valutazione dei titoli, non dico il massimo del punteggio, ma una votazione un po’ più alta. Non vi è dubbio, comunque, che la verifica sui criteri adottati dai commissari nell’attribuzione dei punti fornirà in proposito tutti i ragguagli del caso.

Per il momento, da questo discutibile comportamento della commissione può trarsi, mi sembra, una prima, scontata deduzione, cioè la volontà di “appiattire” il più possibile la valutazione dei titoli con l’evidente scopo di accorciare le distanze fra chi i titoli li aveva e chi no; come logica conseguenza, sorge il sospetto che la commissione abbia mirato, in tal modo, a favorire uno o più  candidati dal curriculum particolarmente sguarnito. Sarà comunque l’esito del concorso a fugare, ci si augura, questo insano sospetto.

Sulla stessa linea parrebbe porsi, tuttavia, anche la conduzione della prova orale. Il bando prevedeva, infatti, che tale prova dovesse consistere, oltre che “nella discussione di aspetti scientifici di ordine generale e specifico degli argomenti di ricerca ... nonché delle prove scritte”, anche nella discussione “del curriculum, delle pubblicazioni e dei rapporti tecnici e/o le monografie e/o brevetti”: a fronte di questa disposizione, è sorprendente il fatto che durante la prova orale la commissione abbia sorvolato, nell’esaminare tutti i candidati, sulla discussione attorno a questi ultimi punti: anche in questo caso -si riaffaccia il sospetto!- allo scopo di non mettere in risalto le differenze fra i curricula più nutriti e quelli più scarni.

Un altro punto discutibile è la situazione che si è venuta a creare il pomeriggio nel quale doveva svolgersi la prova orale, prevista, per un gruppo di quattro candidati, per il pomeriggio alle 14,30.

Tralasciando il ritardo di circa mezz’ora con il quale parte della commissione si è presentata perché impegnata a pranzo (circa alle 15), mi domando se è normale che uno dei candidati, assente all’appello fatto intorno alle 15, si presenti nella sede del concorso solo un’ora dopo (cioè, un’ora e mezza dopo l’orario di convocazione), guarda caso proprio quando -con un ritardo variamente motivato dai membri della commissione- aveva appena preso il via la prova orale del primo candidato.

In una situazione “regolare” tutti i candidati che intendono sostenere la prova d’esame non dovrebbero essere presenti all’appello? Tale episodio, di fatto, si presta ad una duplice chiave di lettura: o il ritardatario è stato così fortunato da incappare in una commissione che per caso si è rivelata altrettanto ritardataria (se l’esame fosse iniziato puntualmente, infatti, alle 16 gli orali sarebbero stati già terminati), oppure -ma questa sarebbe una vistosa irregolarità- il ritardo nell’inizio degli esami non è altro che una conseguenza del ritardo dell’esaminando.

Ma anche su questo episodio, non vi è dubbio, potrà gettare luce il verbale del concorso.

Per il momento, c’è da augurarsi che quanto sin qui rilevato sia solo frutto di una serie di coincidenze, e che il risultato finale del concorso, associato alla lettura degli atti, mostri con ogni evidenza come l’operato della commissione sia stato limpido e disinteressato.

Anna Maria Nieddu - assegnista di ricerca presso il Dipartimento di Storia dell’Università di Sassari

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