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Venerdì, 05 Lug 2024

di Alex Malaspina

La materia delle sanzioni amministrative pecuniarie comminate ai non rispondenti ai questionari statistici, soprattutto imprese, ha attirato da qualche anno l'attenzione della stampa nazionale, salendo così alla ribalta della cronaca.

Tutto è cominciato nel 2007, con un esposto a firma di Rocco Tritto, segretario nazionale del sindacato Usi-Ricerca, indirizzato alla Corte dei conti, nel quale si ipotizzava un danno all'erario, quantificato tra un minimo di 155 milioni  e un massimo di 1,5 miliardi di euro, causato dalla mancata applicazione delle sanzioni pecuniarie di legge agli inadempienti agli obblighi statistici.

A seguito di tale notizia, dopo aver svolto accurata istruttoria, Salvatore Sfrecola, vice procuratore generale della Corte dei conti, conveniva in giudizio amministratori e dirigenti dell'ente statistico per il danno, quantificato complessivamente in circa 192 milioni di euro, da loro causato appunto per la mancata applicazione delle sanzioni per gli anni dal 2002 al 2007, periodo non coperto da prescrizione.

A sostegno delle ragioni della Procura, insieme all'Usi interveniva in giudizio, con gli avvocati Enrica Isidori e Pietro Troianiello, anche l'associazione dei consumatori Adusbef, essendo il dato statistico "patrimonio della collettività".

Sul procedimento pendente davanti alla magistratura contabile irrompeva alla fine del 2007, col decreto milleproroghe l'allora agonizzante governo Prodi, con una norma ad hoc, che limitava, con effetto retroattivo, i casi di applicazione delle sanzioni ai soli rifiuti formali di risposta.

In Parlamento, al momento della conversione in legge del decreto, ci fu una sola tenace opposizione, quella dell'on. Giorgio Carta, che pronunciò un memorabile quanto vano intervento contro il colpo di spugna, che nel frattempo la stampa aveva battezzato come “indulto statistico”. Un suo emendamento per cancellare la norma venne respinto con il voto congiunto di Pd, Fi, An, Udc e Lega Nord.

La Procura della Corte dei conti, però, non si diede per vinta e sollevò la questione davanti la Corte costituzionale che, con decisione n. 93 del 2011, la ritenne non fondata.

Con la decisione n. 1096 dell'8 novembre, commentata dal Corriere della Sera e da Italia Oggi del 16 novembre scorso, i giudici della Sezione giurisdizionale del Lazio, respingendo tutte le eccezioni e domande subordinate della difesa degli incolpati, hanno ritenuto che c'è "rifiuto formale" quando si accerta "la volontà del soggetto obbligato di non rispondere all'indagine  (la volontarietà della condotta) e non la sussistenza di un atto con il quale egli abbia comunicato tale volontà all'Istat (la forma di manifestazione di volontà)".
Tutti i rifiuti di risposta ascrivibili a tale "esplicita" volontà, insomma, costituiscono - secondo i giudici contabili - presupposto sanzionabile ai sensi della normativa in esame.

Alla stregua di tale criterio, la Corte ha ritenuto, in considerazione dei diversi ruoli ricoperti dai singoli incolpati, di distribuire l'ammontare del danno all'erario, quantificato in 286.176 euro, oltre spese legali per 24.263,14 euro, tra l’ex presidente Luigi Biggeri, che dovrà rifondere 145.384 euro, due ex direttori generali, un ex direttore di dipartimento, uno in carica e quattro direttori centrali.

 

Italia Oggi

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