“Secondo l’Istat gli italiani fanno più lavatrici che pranzi. Dov’è l’errore?”. La domanda posta da Roberto Volpi su Il Foglio del 4 luglio scorso, appare ben argomentata e tutt’altro che peregrina.
E’ accaduto, infatti, che nel Rapporto annuale 2013 l’Istat ha pubblicato, a pagina 16, una tavola statistica dal titolo “Persone appartenenti a famiglie in condizioni di deprivazione materiale per indicatori di deprivazione e ripartizione geografica – Anni 2010-2012 (per 100 persone della stessa ripartizione geografica)”. In essa si legge che la percentuale di persone che non possono permettersi un pasto proteico almeno una volta ogni due giorni è passata dal 6,7% nel 2010 al 16,6% nel 2012, mentre le persone che non possono permettersi la lavatrice è passata da 0,5% nel 2010 a 0,2% nel 2012.
E mentre il numero di persone costrette a tirare la cinghia per mangiare è aumentato drammaticamente negli ultimi due anni, diminuiscono anche coloro che non possono permettersi il telefono fisso o il cellulare (da 0,7% a 0,1%), il televisore a colori (da 0,3% a 0,2%) e l’automobile (da 2,1% a 1,7%).
Lecito a questo punto l’interrogativo del giornalista, che chiede se “si tratta di dati non degni di fede, o di dati che mettono in mostra la contraddittorietà dell’umana natura, specialmente se questa è targata Italia”.
L’imputato – ovvero l’Istat – al momento tace. Anzi, sembra volersi avvalere della facoltà di non rispondere, visto che l’articolo di giornale è stato inserito nella Rassegna stampa dell’ente statistico del 4 luglio, ma poi inopinatamente è scomparso nella mattinata dello stesso giorno.
Un comportamento certamente da stigmatizzare per una istituzione finanziata dai contribuenti, la cui mission dovrebbe essere la trasparenza e la corretta informazione nei confronti dell’opinione pubblica.
In attesa di chiarimenti ufficiali, a cercare di dirimere la questione ci ha provato Il Foglietto della Ricerca, risalendo direttamente alla fonte, ossia al questionario dell’indagine statistica sulle condizioni di vita (Eu-Silc), da cui sono stati tratti i dati.
Non è stato difficile scoprire che la stravagante percentuale sulla deprivazione da lavatrice in Italia è comune agli altri paesi dell’Unione europea, che condividono la stessa rilevazione e deriva da una delle tre possibili risposte alla richiesta di indicare se si possiede l’elettrodomestico: a) sì; b) no, non me lo posso permettere; c) no, per altri motivi.
E poiché la quasi totalità delle famiglie già ha una lavatrice, così come il telefono, la televisione a colori e l’automobile, le percentuali di deprivazione sono basse perché riferite alla popolazione residua che ancora non li possiede e diminuisce perché nel tempo tale residuo si assottiglia sempre più.
Alla luce di questa ovvia spiegazione, l’imputato Istat è da assolvere? Certamente no, perché la tavola pubblicata nel Rapporto Annuale associa percentuali tra loro eterogenee senza alcuna nota esplicativa, confondendo il lettore e portandolo a conclusioni fuorvianti.
Con l’aggravante del comportamento omissivo e di scarsa collaborazione nel ripristinare la realtà dei fatti. Almeno fino a oggi.