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Sabato, 06 Lug 2024

Ci sono voluti più di 10 anni, ma alla fine Alberto Selli, ex dipendente del Cnr, con l’assistenza dell’avvocato Francesco De Leonardis,  ce l’ha fatta a vincere la sua battaglia contro l’ente di piazzale Aldo Moro che, nell’occasione, ha incassato una pesante sconfitta, anche in termini monetari.

La giusta azione giurisdizionale intentata dal Selli trae origine da un bando di concorso, datato 8 aprile 1993, per soli titoli, finalizzato all’individuazione di quarantuno funzionari appartenenti al V livello economico, «profilo funzionario di amministrazione», da inquadrare nel IV livello economico del medesimo profilo. L’art. 7 del bando prevedeva che il suddetto livello professionale sarebbe stato attribuito ai vincitori «con decorrenza, a tutti gli effetti, dal 1° luglio 1989».

Il Cnr il 25 novembre 2003 pubblicava la graduatoria nella quale Selli veniva collocato all’undicesimo posto.

A distanza di qualche settimana, però, lo stesso Cnr, con apposito provvedimento, espungeva dalla graduatoria il Selli, per essere lo stesso cessato dal servizio in data 1° aprile 2002.

L‘ormai ex dipendente impugnava il provvedimento innanzi al Tar del Lazio, chiedendo, in particolare, il risarcimento del danno subito per il lungo tempo trascorso, pari ad undici anni, per l’espletamento della procedura concorsuale.

Il Tribunale, con sentenza non definitiva 15 febbraio 2011, n. 1425, declinava la giurisdizione sulla questione relativa alla progressione in carriera, trattandosi di una progressione orizzontale e non verticale e riteneva sussistente la giurisdizione amministrativa in ordine alla richiesta risarcitoria. Con la stessa sentenza veniva chiesto all’amministrazione di rivalutare «ora per allora» i titoli del ricorrente per stabilire se lo stesso, qualora il concorso si fosse concluso nei termini previsti, sarebbe risultato vincitore.

La causa è stata decisa, in via definitiva, con sentenza 15 maggio 2012, n. 4382. In particolare, il primo giudice – valutata la documentazione depositata dall’amministrazione e, in particolare, il verbale del 25 novembre 2003, n. 75 con cui la commissione aveva collocato il ricorrente all’undicesimo posto – ha accolto la domanda di risarcimento del danno da ritardo, condannando l’amministrazione a corrispondere al ricorrente una somma pari alle differenze tra quanto percepito effettivamente e quanto avrebbe percepito se gli fosse stata riconosciuta la progressione in carriera nel periodo che va dal 1° luglio 1989 al 1° aprile 2002. A tale somma, aggiungeva il Tribunale, doveva essere aggiunta la rivalutazione monetaria fino al soddisfo e gli interessi calcolati nella misura legale sul capitale rivalutato dalle singole scadenze fino al soddisfo.

Il Cnr, manco a dirlo, impugnava la sentenza innanzi al Consiglio di Stato, sperando, evidentemente, di ribaltare il verdetto di 1° grado.

Ma così non è stato, anzi la decisione dell’organo di appello della giustizia amministrativa, resa pubblica con sentenza n. 5600 del 14 novembre 2014, con la quale è stato respinto il ricorso del Cnr, appare nelle motivazioni ancor più “dura” di quella emessa in prime cure.

Il collegio giudicante, infatti, preliminarmente, ha richiamato quella che è ormai giurisprudenza consolidata, in base alla quale perché la pubblica amministrazione sia tenuta «al risarcimento del danno ingiusto cagionato in conseguenza dell’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento» devono sussistere tutti i presupposti, oggettivi e soggettivi, della responsabilità in quanto «il mero superamento del termine fissato ex lege o per via regolamentare alla conclusione del procedimento costituisce indice oggettivo, ma non integra piena prova del danno».

Subito dopo ha precisato gli elementi costitutivi della responsabilità della pubblica amministrazione: i) l’elemento oggettivo consistente nella violazione dei termini procedimentali; ii) l’elemento soggettivo (colpa o dolo); iii) il nesso di causalità materiale o strutturale; iv) il danno ingiusto, inteso come lesione alla posizione di interesse legittimo al rispetto dei predetti termini.

Poi, ha aggiunto che sul piano delle conseguenze, il fatto lesivo deve essere collegato, con un nesso di causalità giuridica o funzionale, con i pregiudizi patrimoniali o non patrimoniali lamentati.

In relazione alla colpa, si legge nella sentenza, si deve ritenere che la violazione del termine faccia presumere la sua sussistenza, che può essere superata mediante la dimostrazione di un errore scusabile dell’amministrazione. In particolare, integra gli estremi dell’esimente da responsabilità l’esistenza di: a) contrasti giurisprudenziali sull’interpretazione di una norma; b) una formulazione incerta di norme da poco entrate in vigore; c) una rilevante complessità del fatto; d) una illegittimità derivante da una successiva dichiarazione di incostituzionalità della norma applicata.

Nel merito, poi, il Consiglio di Stato non ha concesso nulla ma proprio nulla all’ente appellante, dal momento che il collegio giudicante ha ritenuto che le “difficoltà organizzative”, evocate dal Cnr per giustificare il decennale ritardo, sono state “genericamente indicate e non supportate da idonea dimostrazione che risultava tanto più necessaria in presenza di una procedura concorsuale per soli titoli senza espletamento di prove scritte e orali”; che gli annullamenti d’ufficio, essendo riconducibili all’attività della stessa amministrazione, non possono, per definizione, costituire una causa di giustificazione.

Infine, anche il tentativo del Cnr di scaricare tutte le responsabilità sulle commissioni giudicatrici non è andato a buon fine, dal momento che il Consiglio di Stato, contrariamente a quanto sostenuto dallo stesso Cnr, ha affermato che “le commissioni di concorso sono organi dell’amministrazione, con la conseguenza che l’attività da esse poste in essere è giuridicamente imputabile, anche per i profili di responsabilità, all’amministrazione. La interruzione del nesso di imputazione giuridica si ha soltanto nel caso in cui l’organo ponga in essere fatti di reato o comunque idonei a impedire ogni riferibilità dell’azione all’ente”.

Oltre a respingere l’appello e a riconoscere il risarcimento del danno a favore dell’ex dipendente, il Cnr è stato condannato a rifondere all’appellato le spese processuali, determinate in euro 5.000,00 (cinquemila). Oltre accessori di legge.

L’incredibile storia di ordinaria burocrazia, iniziata nel 1993, con la presidenza Garaci, si è conclusa sotto la presidenza Nicolais, con la pubblicazione della sentenza di 1° grado e la proposizione dell’atto di appello, risultato – come forse non era difficile prevedere - “catastrofico” per il Cnr.

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