di Rocco Tritto
Fra una settimana, esattamente il 4 agosto, sarà un anno che Enrico Giovannini è al vertice dell'Istat.
Quando ormai la mezz’ora se n’è andata, come diceva il mitico Nicolò Carosio, è tempo di un primo consuntivo dell'attività svolta in via Balbo e nel Paese dall'uomo chiamato dal governo Berlusconi da Parigi, dove dal gennaio 2001 al luglio 2009 era stato Chief Statistician e Director of the Statistics Directorate dell'Ocse.
Il suo arrivo nel tempio della statistica ufficiale italiana venne salutato da (quasi) tutti con molto favore, nella certezza che sarebbe riuscito a ridare slancio a un ente la cui credibilità negli ultimi tre lustri aveva toccato livelli bassissimi. Un simile entusiasmo fece sì che passasse quasi sotto silenzio la notizia (data dal Foglietto) che il governo aveva portato da 93 mila euro a 300 mila l’indennità di carica per il neo presidente dell’Istat.
A un anno dall’insediamento, le folle oceaniche che avevano presenziato nelle varie sedi dell’Istituto ai discorsi del presidente in maniche di camicia, sembrano perplesse. Nulla è mutato sotto il sole.
La vecchia dirigenza è diventata la nuova, senza neppure cambiare abito.
L’ente continua da più di un anno ad avere un direttore generale provvisorio.
Il tanto glorificato regolamento, che avrebbe dovuto dettare le linee guida della rivoluzione organizzativa dell’ultraottuagenario ente statistico, sembra essersi dissolto nelle nebbie burocratiche e politiche.
Di decisioni sulla sede unica di Pietralata, manco a parlarne. Da segnalare, in concreto, l’acquisizione in locazione a Roma di un lugubre maxi immobile da 3,7 milioni di euro annui per un sessennio. Davvero poco, per promuovere il primo anno dell’era Giovannini.
Tutt’al più, una rimandata. D’incoraggiamento.