di Antonio Del Gatto
Nel corso di una riunione del consiglio d'istituto di una scuola professionale, il preside si rivolge a un docente, facendogli rilevare, senza tanti giri di parole, che "dice solo stronzate". Quest'ultimo accusa il colpo, non se la tiene e trascina il superiore davanti ai giudici, sostenendo che il termine assume una veste tanto più offensiva perché pronunciato in un consesso di educatori.
Crescendo come una valanga, la vicenda approda addirittura in Cassazione. Vabbè che le stronzate si pagano, ma stavolta sono costate proprio care.
E non è ancora finita. Omnibus perpensis, la Cassazione annulla la sentenza della Corte d'Appello, rinviando la causa ad altra sezione della medesima con l'incarico di sciogliere il nodo gordiano: valutare se, rispetto all'ambiente nel quale l'espressione è stata profferita, la stessa si limiti alla pur aspra critica di un'opinione non condivisa ovvero trasmodi nello squalificare l'onore e il decoro del destinatario.
La vexata quaestio, insomma, sta tutta qui.
Come si vede, non è roba da poco né si riesce a ipotizzare a quali parametri dello scibile umano i giudici togati faranno ricorso per risolvere l’angoscioso dilemma.
Dopo di che, l’originale querelle rischia di tornare dinanzi alla Suprema Corte. E’ la giustizia italiana.