di Roberto Tomei
Siamo tra coloro che pensano che il proprio lavoro sia premio a se stesso, ma se qualcuno ne riconosce l'utilità ci sentiamo ancora più gratificati.
Ciò è avvenuto da parte di importanti quotidiani (da Repubblica, al Corriere della Sera a La Stampa) e di prestigiosi settimanali (da L'Espresso a Panorama).
Da qualche tempo, Il Foglietto ha attirato l'attenzione anche di brillanti saggisti. Tra questi, da ultimo, di Paolo Casicci e Alberto Fiorillo, due cronisti del Venerdì di Repubblica, autori di Scurriculum. Viaggio nell'Italia della demeritocrazia (Aliberti ed., euro 15), con la prefazione di Gian Antonio Stella, nota penna del giornalismo italiano e padre nobile di questo genere di lavori, avendo scritto con Sergio Rizzo "La Casta", insuperato bestseller del settore.
Nel loro piacevole quanto documentato lavoro, in libreria da qualche giorno, Casicci e Fiorillo snocciolano, una dopo l'altra, una serie di storie esemplari di ordinaria demeritocrazia (il vocabolo è di conio recente e dubitiamo che esista nelle altre lingue), alcune raccontate dal Foglietto, che hanno afflitto il nostro paese negli ultimi anni, nei quali il fenomeno sembra essere cresciuto vistosamente, anche se la mala pianta ha origini remote e attraversa tutta la storia d'Italia, risalendo a ben prima dell'unificazione nazionale. Intendiamoci bene: la mortificazione del merito è tanto diffusa quanto condannata, ma poi tutto finisce col biasimo verbale.
C'è di più. Accade infatti di imbattersi in autoproclamatisi fustigatori dei costumi che, dopo aver dichiarato di volere sempre e solo il merito, unica stella polare della loro condotta, al momento di dare all'aurea regola concreta applicazione si guardano bene dal farlo, aggiungendo al danno la beffa. E poiché i "beffati" sono stanchi di subire, da qualche tempo il nostro paese ha conquistato il triste primato di esportatore di cervelli. I quali, pur ammaliati dalle sirene di chi vorrebbe far credere loro che da noi il rispetto del merito stia ritornando, si guardano bene dal crederci.
Ma, stando alle storie del libro, vien da pensare che i "fuggitivi" siano, tutto sommato, più fortunati di chi è rimasto, nelle nostre università, amministrazioni pubbliche o anche aziende private, ad assistere al quotidiano massacro del merito, così doviziosamente descritto dai due bravi cronisti, ai quali auguriamo il "meritato" successo.
Spiace che invece il prefatore, Gian Antonio Stella, non ci riconosca il merito di aver "scoperto" la storia di Regis, sulla quale si diffonde ampiamente. Quando capita, occorre ammettere il debito contratto verso i propri contemporanei.