C’è stato un tempo, in particolare a partire dagli anni settanta del secolo scorso, in cui gli iscritti alla Facoltà di Medicina andavano moltiplicandosi di anno in anno. A un certo punto, i medici sono diventati talmente tanti che abbiamo cominciato a esportarli, con gran sollievo dei cittadini degli altri Stati (come l’Inghilterra, che ne era sfornita), che pare ne abbiano apprezzato, oltre alla preparazione, le particolari doti umane.
Un così marcato squilibrio tra “domanda e offerta” non poteva durare e non durò. Preceduto da grandi dibattiti e seguito da numerosi “mal di pancia”, è, quindi, arrivato, ed è ormai in vigore da tempo, il cosiddetto numero chiuso. Vale a dire che, per accedere alla Facoltà di Medicina, occorre superare dei test, ormai tristemente famosi per la loro crudele aspecificità e considerati non proprio una passeggiata di salute da tutti coloro che vi si sono sottoposti.
Come se non bastasse, a complicare le cose sono ora intervenute anche le procedure burocratiche, che sembrano riuscite a diffondere il panico tra gli aspiranti dottori.
Che cosa è accaduto?
A febbraio, un decreto del Miur ha fissato al primo ottobre la chiusura delle graduatorie di coloro che hanno superato i test, sicché per quella data gli immatricolati nei vari atenei dovrebbero essere tutti quelli previsti, ossia 10.551.
Sennonché, considerate le diverse opzioni concesse ai candidati, la graduatorie starebbero scorrendo a rilento, col rischio che gli immatricolati potrebbero essere, alla fine, addirittura di meno.
Dopo la pubblicazione dei risultati, infatti, ogni candidato ha diverse opzioni: è senz’altro “assegnato”, quindi deve iscriversi entro cinque giorni, se risulta vincitore nella prima sede che ha indicato; è soltanto “prenotato”, se risulta vincitore in una delle altre sedi indicate; è “in attesa”, invece, se è rimasto fuori dai posti a disposizione.
Rebus sic stantibus, è naturale che tanti studenti preferiscano aspettare, confidando nella possibilità di scalare le graduatorie, che scorrono settimanalmente tra immatricolazioni e rinunce. Ne deriva però che, essendo troppe le combinazioni possibili, è alto il rischio che la procedura non si concluda nei tempi previsti.
Ad aggravare ulteriormente la situazione c’è, poi, il nodo delle doppie, se non triple, immatricolazioni, rappresentato da studenti presenti nelle graduatorie del Miur e in quelle di università private (tra le più gettonate, la San Raffaele di Milano). Ora, se è vero che questi studenti non potranno iscriversi contemporaneamente a due Facoltà, è altrettanto vero che non sono obbligati subito a indicare quella che preferiscono, con la conseguenza che, se dovessero rinunciare a ridosso del fatidico primo ottobre, potrebbe non esserci più tempo per riassegnare i posti che si sono liberati.
Idem dicasi per gli studenti che l’anno scorso sono risultati vincitori nella sede non gradita ma che quest’anno sono riusciti a superare i test per la sede preferita e si sono immatricolati, lasciando liberi altri posti che potrebbero andare perduti.
Questo essendo il contesto, si capisce che gli studenti si siano agitati e abbiano rivolto una petizione al Ministro Giannini affinché vengano adottati i provvedimenti idonei a scongiurare il malfunzionamento della, francamente farraginosa, procedura escogitata dal suo ministero.
Se le cose non dovessero andare per il verso giusto, al Miur certamente non potranno dire di non essere stati avvertiti.