di Adriana Spera
Da qualche anno le cronache narrano, con frequenza tragicamente crescente, di tante donne assassinate da uomini.
Al fenomeno, che ha dato origine al diffondersi del neologismo femminicidio, usato per la prima volta nel 1992, è dedicato ora un interessante e dotto (emozionanti le pagine dedicate alle morti delle donne nei romanzi e nell’opera lirica) volumetto di Loredana Lipperini e Michela Murgia, dal titolo L’ho uccisa perché l’amavo. Falso!, edito per i tipi di Laterza, dal quale vengono interessanti spunti per una nuova e diversa consapevolezza delle dinamiche relazionali uomo-donna, che soprattutto i giornalisti dovrebbero acquisire nel presentare al pubblico questa particolare specie di omicidi, troppo spesso illustrati, consapevolmente o meno, con un linguaggio che tende a giustificare la condotta degli assassini.
Davanti al numero crescente delle morti delle donne in Italia - spiegano le autrici - esistono tre tipi di reazione.
Ci sono coloro che affermano la specificità del fenomeno e tentano di identificare un percorso culturale e giuridico che lo affronti in maniera consapevole; coloro che, invece, ne negano la diversità e sostengono si tratti di morti come le altre, che nel nostro paese sarebbero, peraltro, secondo l’opinione di improvvisati statistici, addirittura meno che altrove; coloro - la maggioranza – infine, che, pur riconoscendone la specificità, ritengono che esso sia il frutto della “guerra ideologica” aperta dal femminismo, che avrebbe alterato “l’ordine naturale” delle cose, rendendo gli uomini fragili, disorientati e senza certezze.
Per i seguaci di questo aberrante orientamento, tutto si sistemerebbe se le donne tornassero al loro posto, “riprendendo ad occuparsi della famiglia e della casa e a fare esercizio di umiltà davanti alla propria errata convinzione di aver diritto alle stesse opportunità di scelta degli uomini”.
In sostanza, è l’indicazione che viene da quella deviante scuola di pensiero che trae la sua ispirazione dal libro Spòsati e sii sottomessa di Costanza Mariano, uno dei testi più espliciti sulla necessità per le donne di “stare sotto”, attesa l’incontrovertibile differenza tra i sessi, cui non può non corrispondere “una gerarchia di poteri e una pre-assegnazione di ruoli e attitudini”.
Al contrario, secondo le autrici del libro L’ho uccisa perché l’amavo”. Falso!, all’origine del fenomeno ci sarebbero proprio questa visione delle cose e l’incapacità di superarla, persino da parte della stragrande maggioranza della stampa che si trova a trattare dell’argomento: “anni di storie, sia veicolate in libri, film o melodrammi, ci hanno abituato a pensare che uccidere una donna che fugge, che si nega o nega il proprio amore, è qualcosa che può essere tollerato”.
Si tratta di un terribile retaggio culturale, da combattere in tutti i modi, iniziando sin da ora a mettere in campo tutto quanto occorre per assicurarne il definitivo superamento, partendo, innanzitutto, da progetti educativi rivolti a bambini e ragazzi.