di Flavia Scotti
Nel Paese (il nostro) in cui la lentezza della burocrazia è proverbiale, 6 anni e 5 mesi per trasferirsi da un’università a un’altra, oltre a essere giudicati un arco temporale davvero eccessivo, sono stati giustamente considerati un danno meritevole di essere risarcito.La vicenda ha avuto per protagonista un ricercatore universitario che voleva migrare a “La Sapienza” di Roma dall’Università della Calabria.
Fatta la domanda di trasferimento, il Rettore dell’ateneo romano, con nota del 9 novembre 1995, gli comunicava la presa di servizio nella capitale a decorrere dal 1° gennaio 1996, giusto il tempo necessario perché il ricercatore organizzasse il trasloco nella capitale e fosse inviata da una città all’altra la documentazione che lo riguardava.
Sennonché già il 30 novembre il procedimento di trasferimento veniva sospeso e a tale atto altri ne seguivano, tutti preordinati a impedire il trasferimento medesimo.
Di fronte a un siffatto inaspettato “fuoco di sbarramento”, il ricercatore non si dava tuttavia per vinto e impugnava tutti gli atti emessi dall’università romana, fino a ottenerne l’annullamento da parte del Consiglio di Stato (sentenza n. 537/2002).
Non pago della significativa vittoria conseguita, il coriaceo ricercatore ha deciso di rivolgersi al Tar del Lazio, che, con sentenza n. 48 del 3 gennaio 2014 (Sez. III bis, Pres. Calveri, Rel. Chiné)), ha riconosciuto meritevole di accoglimento la sua richiesta, per fortuna puntualmente documentata, di risarcimento del danno patrimoniale per le spese di trasporto, vitto e alloggio affrontate nel periodo 1° gennaio 1996-1° giugno 2002, quando ha dovuto pendolare tra Roma e Reggio Calabria, per un totale di euro 28.151,91, maggiorato di interessi, rivalutazione e spese legali, quantificate, queste ultime, in euro 1500.
Che dire? C’è da essere soddisfatti per l’esito e, soprattutto, per la tenacia del ricercatore-ricorrente.
Ma quanti, al suo posto, avrebbero saputo opporsi alla mala burocrazia per più di 17 anni?