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Domenica, 28 Apr 2024

Da anni sentiamo magnificare i benefici che deriverebbero a noi cittadini dalla privatizzazione dei servizi pubblici. Con il premier Renzi, il tema ha ripreso nuovo slancio. Bisogna vendere non solo per far cassa ma anche per modernizzare l'Italia, ci ripete come un mantra.

Una delle “svendite” sul piatto è il 40 % di Poste Italiane, da cui potrebbe arrivare allo Stato un introito di almeno 4 miliardi.

Ma è davvero una svolta innovativa? Intanto, forse pochi sanno che da anni molti servizi di Poste Italiane sono già stati esternalizzati, uno di questi è la spedizione dei pacchi postali, che viene effettuata mediante la collegata Sda, quindi una privatizzazione strisciante è già in atto da tempo.

Ed è conveniente per noi cittadini? Alla luce di quanto è capitato a chi scrive, si direbbe di no.

Ma veniamo ai fatti: il 5 maggio scorso improvvisamente il mio cellulare smette di funzionare. Mi reco allo store del produttore per farlo monitorare e mi dicono che, trattandosi di un guasto importante ed essendo l'apparecchio in garanzia, il rivenditore è tenuto alla riparazione o alla sostituzione con uno nuovo. Contatto, quindi, il venditore, che è a Bari, e che mi conferma tutto, invitandomi a spedirgli il telefono.

Il giorno successivo, 6 maggio, mi reco all'Ufficio postale di Roma 4, in via delle Terme di Diocleziano, e spedisco il pacchetto, optando per la modalità “pacco celere 1 assicurato”, la più veloce e costosa, che dovrebbe garantire la consegna in 24 ore. Pago 12,90 euro, assicurando, per mero scrupolo, il contenuto per 100 euro. Passata una settimana, contatto il rivenditore per sapere se ha ricevuto il plico e quale sia il guasto. Mi risponde che nulla gli è stato recapitato.

A quel punto, codici di spedizione alla mano, vado sul sito di Poste per tracciare il pacco e scopro che esso è inesistente. Sento degli amici che lavorano nell'azienda per capire cosa possa essere successo e mi sento dire che spesso il lettore ottico che registra la spedizione prima la legge e poi la cancella, tant'è che gli impiegati sono assicurati contro queste frequenti “scomparse”.

Gli stessi mi consigliano di recarmi immediatamente a parlare con il direttore dell'Ufficio, che è responsabile del buon esito della consegna.

Il dirigente dell'ufficio, fatte tutte le verifiche, accerta che il pacco è stato erroneamente spedito come “pacco celere 3”, che comporta la consegna nei tre giorni successivi a quello della consegna all'ufficio postale - tempi e garanzie diverse dal “pacco celere 1” - con numero di codice diverso (KX062683436IT).

Scopro, comunque, che il plico è stato preso in carico la sera stessa del 6 maggio, alle ore 19,11, dalla società di spedizioni Sda agenzia Roma 1. Da quel momento, però, inspiegabilmente non è più tracciabile, quindi, mi consiglia il direttore dell'Ufficio postale, sarebbe opportuno sentire Sda.

Accetto di buon grado il consiglio e tento (invano) di contattare telefonicamente lo spedizioniere; poi, consulto il suo sito per saperne di più. Accerto così che  “SDA Express Courier S.p.A. con unico socio è Società appartenente al Gruppo Poste Italiane”.

La circostanza lì per lì mi rallegra, anche perché leggo la seguente dichiarazione d'amore all'utente o cliente che dir si voglia: “Vogliamo essere il tuo partner di fiducia. Questo, per noi di SDA Express Courier, significa immedesimarci nelle tue esigenze garantendoti precisione, velocità e facilità d'accesso a molteplici ed evoluti servizi, fruibili anche on line. I nostri continui investimenti in tecnologia e sistemi informatici per la gestione logistica, distributiva e per la vendita a distanza, sono la testimonianza tangibile della volontà di esserti vicino, in tempo reale e con un semplice click”.

Ma il mio rallegramento è men che temporaneo perché mi rendo conto che il cittadino che si è rivolto allo sportello postale per una spedizione mai giunta a destinazione non ha alcuna tutela: non può tracciarla su internet, né per telefono, né tanto meno può protestare presso lo spedizioniere.

Infatti, mi reco presso la sede della società Sda di via Corcolle, alla periferia est di Roma, dove uno scortese addetto alla reception mi risponde bruscamente che, per i pacchi spediti mediante Poste Italiane, la società Sda, che effettua la spedizione, non è tenuta a dare alcuna informazione all’interessato e che unico responsabile è solo Poste Italiane, che - come già detto - è il socio unico della stessa società Sda.

Dunque, dopo un periplo a 360 gradi, mi ritrovo al punto di partenza.

Ho fatto il reclamo presso Poste italiane, ma con poche speranze di esser rimborsata del danno realmente subito e pure del valore assicurato, alla luce della lettura di quanto riportato nella “sezione reclami”, presente sul sito delle stesse Poste e delle testimonianze di amici, vittime dei medesimi disservizi.

Morale della favola: ad oggi, dopo un mese dalla consegna alle Poste, il pacchetto non è giunto a destinazione (né ritengo giungerà mai), mentre il sito delle stesse Poste, ai fini della tracciabilità, è sempre fermo alla indicazione della data di ritiro dello stesso da parte di Sda (6 maggio 2014, ore 19:11).

Intanto, domani 4 giugno, scade la garanzia per ottenere la sostituzione del telefono in avaria.

Chi mi ripaga del danno?

Qualcuno mi ha detto: sono le privatizzazioni bellezza!

E dobbiamo pure pagare per un simile (non)servizio?

Viene da dire: ridateci i postini di una volta, magari i pacchi erano lumaca, ma lo si sapeva in partenza, almeno si pagava poco, ma in compenso non si veniva maltrattati.

Dopo essermi documentata sul fenomeno dei disservizi delle Poste Italiane spa, ho scoperto di essere in buona compagnia, perché ho appreso, a pagina 86 del Bilancio di sostenibilità della società privatizzata che, nel 2012, i reclami per posta smarrita, arrivata in ritardo o manomessa sono stati 44.202 e che, comunque, l'obiettivo che persegue l’azienda è quello di portare a buon fine il 98% dei pacchi.

Che consolazione!

Chissà perché mi viene in mente il racconto di quel nonno che, dopo l'8 settembre 1943, se ne tornò a casa a piedi, da Roma a Bari, impiegando 27 giorni, in un'Italia distrutta ma che si incamminava verso la libertà e verso la ricostruzione.

Oggi quello stesso paese appare ugualmente distrutto, ma marcia verso una “modernità” dove contano soltanto gli interessi degli azionisti. E non i diritti del cittadino.

Che tristezza.

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