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Giovedì, 02 Mag 2024

Nel mese di agosto del 2014 l’indice dei prezzi al consumo per l’intera collettività nazionale è diminuito dello 0,1% su base tendenziale.

Tale risultato ha configurato una situazione di deflazione dei consumi privati che non si registrava in Italia dal 1959[1]. Più precisamente in quell’anno la variazione dei prezzi al consumo fu negativa ininterrottamente da marzo (-0,3%) a settembre (-1%), con un picco di -1,9% a luglio.

La struttura dei consumi delle famiglie italiane era completamente diversa rispetto a oggi, come si può osservare dalla composizione percentuale dei coefficienti di ponderazione per capitolo di spesa e per tipologia di prodotto. La spesa per prodotti alimentari e bevande analcoliche si è ridotta dal 42% al 16%; sono, invece, fortemente aumentate le componenti trasporti (dal 7% al 14%), le spese per abitazione (dal 5% al 11%), i servizi ricettivi e di ristorazione (dal 3% al 11%). Nel 1959 la spesa per l’acquisto di beni era il 81% e quella per servizi il 19%, mentre oggi sono rispettivamente 54% e 46%. I beni tecnologici erano praticamente inesistenti e quelli energetici avevano un peso del 4%, meno della metà del 9% attuale (per ulteriori approfondimenti si veda 50 anni di spesa italiana).

Come già descritto nell’articolo L’Italia in deflazione dopo 55 anni la variazione tendenziale dell’indice generale dei prezzi al consumo è la risultante di segnali positivi e negativi dell’andamento dei prezzi dei beni e servizi che compongono il paniere. La variazione complessiva può essere, quindi, scomposta e analizzata considerando il contributo di ogni singolo prodotto, che ha un peso diverso a seconda dell’importanza che riveste nella spesa per consumi delle famiglie.

Negli ultimi mesi è aumentata la proporzione di prodotti con i prezzi in diminuzione, che sterilizzano l’effetto inflattivo di quelli il cui prezzo aumenta. Ad agosto i contributi negativi hanno superato, seppure di poco, quelli positivi. Fa tuttavia riflettere l’andamento della componente di fondo dell’inflazione, o core inflation (linea tratteggiata)[2], il cui ritmo di diminuzione è molto più lento e ad agosto 2014 fa segnare un +0,5%. Ciò fa ritenere che la deflazione registrata ad agosto 2014 nei prezzi al consumo possa essere solo momentanea.

Tornando indietro nel tempo si vede che, dopo un picco del 4% che fu toccato a giugno del 1958, i prezzi iniziarono rapidamente a scendere, unitamente alla componente di fondo, che arrivò a toccare quasi lo zero nel periodo più profondo di deflazione dell’estate 1959, in cui il contributo negativo di alcune componenti del paniere si spinse fino a -3,6%. Già nell’autunno del 1959 i prezzi tornarono alla normalità e si stabilizzarono intorno al 2% nei primi mesi del 1960[3].

A far aumentare l’inflazione di agosto ci hanno pensato soprattutto la tariffa sui rifiuti, l’acquisto di automobili, il pedaggio autostradale, la colf, i servizi finanziari e le spese condominiali, ma a farla scendere hanno contribuito la bolletta del gas e i servizi di telefonia mobile, ma anche lo smartphone, i medicinali di fascia A, le mele e i viaggi aerei con destinazione europea.

Nel 1959, sempre ad agosto, gli aumenti erano, invece, dovuti agli affitti, alle sigarette[4], ai cavoli, all’olio di oliva, alla lavandaia a domicilio (proprio così) e alla domestica a tutto servizio. Ma la forte spinta deflativa veniva dal vino[5], dalla frutta, dalle patate[6] e dalla benzina (normale).

Negli ultimi anni, dopo aver toccato un valore massimo del 3% nel 2012, l’inflazione è scesa a 1,2% nel 2013 ed ora ha assunto segno negativo. Alla diminuzione contribuiscono maggiormente i prodotti energetici (-0,3%), come anche i beni tecnologici (-0,1%) e gli alimentari e bevande (-0,1%). A crescere maggiormente sono, invece, i servizi (+0,3%) e in misura minore le automobili e gli altri beni.

Ad agosto 1959 la diminuzione fu interamente dovuta al contributo negativo dei prezzi di alimentari e bevande (-2,5%), con i servizi, i cui prezzi erano in costante crescita, a fare da contrappeso (+0,8%).

Da notare come negli anni ’50, nonostante l’elevata domanda di autovetture (passarono da 342 mila del 1950, 7 ogni 1000 abitanti a quasi 2 milioni nel 1960, 39 ogni 1000 abitanti[7]) i prezzi di vendita si mantennero stabili, se non addirittura in leggero calo, grazie al contenimento dei costi di produzione[8]. Al contrario, oggi, nonostante la perdurante fase di stagnazione del settore automobilistico e le spinte alla delocalizzazione della produzione, i prezzi sono in aumento.

L’andamento dei prezzi al consumo riflette un insieme di situazioni strutturali e congiunturali del sistema economico. L’analisi di esse è una matassa difficile da dipanare, se non si vuole correre il rischio di giungere a conclusioni affrettate e semplicistiche.

Ciò vale anche per il rischio deflazione, dipinta oggi come un fantasma che agita i nostri sonni, quando l’esperienza del 1959 ci mostra che un’economia sana, che viaggiava a un ritmo di crescita del 7% di Pil, non teme un breve periodo di caduta dei prezzi, dovuta peraltro a fattori contingenti e circoscritta per lo più a un determinato settore.

Coefficienti di ponderazione dell’indice dei prezzi al consumo per l’intera collettività nazionale per capitolo di spesa – composizione percentuale
Figura 1
Fonte:elaborazioni su dati Istat

Coefficienti di ponderazione dell’indice dei prezzi al consumo per l’intera collettività nazionale per tipologia di prodotto – composizione percentuale
Figura 2
Fonte:elaborazioni su dati Istat

Contributi alla variazione dell’indice dei prezzi al consumo per l’intera collettività nazionale – valori percentuali
Figura 3
Fonte:elaborazioni su dati Istat

Contributi alla variazione dell’indice dei prezzi al consumo per l’intera collettività nazionale per prodotto – valori percentuali
Figura 4
Fonte:elaborazioni su dati Istat

Contributi alla variazione dell’indice dei prezzi al consumo per l’intera collettività nazionale per tipologia di prodotto – valori percentuali
Figura 5
Fonte:elaborazioni su dati Istat

_________________________________________
[1] Per la verità, a luglio 2009 si ebbe una diminuzione di 0,1% dell’indice armonizzato dei prezzi al consumo italiano. Quello stesso mese l’indice dei prezzi al consumo per l’intera collettività risultò invariato rispetto a 12 mesi prima.

[2] La core inflation si calcola sottraendo dall’indice generale le componenti il cui prezzo è più soggetto a fluttuazioni di breve periodo, come i beni energetici e i beni alimentari non lavorati. Essa rappresenta l’andamento di fondo dell’inflazione e viene utilizzata anche a scopi previsivi.

[3] “Fino al luglio (del 1959, ndr) tanto i prezzi agricoli che quelli industriali erano stati in fase discendente; l’indice sindacale del costo della vita si era abbassato ed aveva finanche provocato nei primi mesi dell’anno la riduzione, certo inconsueta, di un punto nelle scale mobili regolanti i salari. Dopo il luglio la situazione è mutata alquanto. Si sono volti al rialzo sia i prezzi agricoli che quelli industriali. Nell’insieme, tuttavia, la media annua dei prezzi ingrosso è diminuita nel 1959 del 3 per cento rispetto al 1958… E’ degna di nota, infine, la circostanza che l’indice dei prezzi dei prodotti industriali era, al marzo di quest’anno, al disotto del livello del dicembre 1958, nonostante che, durante il primo semestre del 1959, i prezzi delle materie prime sui mercati internazionali fossero saliti di oltre il 5 per cento. La notevole espansione produttiva alla quale stiamo assistendo non ha provocato, dunque, almeno fino ad ora, tensioni di rilievo nel livello dei prezzi. Anche l’indice del costo della vita non ha messo in evidenza tensioni di fondo; l’aumento del 2,6 per cento verificatosi tra il marzo 1959 e il marzo 1960 è da attribuire, infatti, per circa tre quinti al capitolo dell’abitazione, influenzato dal ricorrente aumento dei fitti bloccati”, Donato Menichella, Considerazioni finali all’assemblea della Banca d’Italia, 1959 – 31 maggio 1960.

[4] Il prezzo (medio) di 10 sigarette nazionali passò da 80 lire del 58 a 83,33 lire del 1959 (Istat, Statistiche storiche dell’Italia 1861-1975, pag, 137).

[5] Un litro di vino nel 1959 costava 138 lire, ben 13 lire in meno dell’anno precedente. Anche l’anno successivo il prezzo scese, andando a toccare il livello minimo di 123 lire al litro (Ibidem, pag. 135).

[6] Il prezzo delle patate scese da 55 a 45 lire il chilo (Ibidem, pag. 134).

[7] Ibidem, pag.106.

[8] “…dobbiamo riconoscere che il problema dell’inflazione dei costi si è presentato da noi in forme meno acute. In gran parte delle industrie manifatturiere, gli aumenti della produttività hanno offerto capienza ai pur notevoli aumenti salariali, e rimunerazione agli investimenti addizionali di capitale. Il caso più evidente è forse quello dell’industria dell’acciaio, dove la produttività del lavoro è raddoppiata in meno di un decennio, sicché, nonostante gli ingenti oneri di capitale, i prezzi dell’acciaio hanno potuto mantenersi all’incirca fermi sui livelli del 1950, mentre negli altri grandi paesi produttori essi hanno segnato aumenti che vanno dal 40 per cento nel Regno Unito al 70 per cento negli Stati Uniti e al 90 per cento in Germania”, Donato Menichella, Considerazioni finali all’assemblea della Banca d’Italia, 1959 – 31 maggio 1960.

* www.francomostacci.it
twitter: @frankoball

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