Un dipendente dell’Agenzia delle Entrate, a seguito di provvedimento disciplinare, dopo essere stato sospeso dal servizio per dieci giorni e privato della relativa retribuzione per aver accettato da una nota società umbra due maglioni in regalo, per un valore ante euro di 70mila lire cadauno, era riuscito a ribaltare innanzi alla Corte d’appello di Perugia la sentenza negativa del Tribunale, ottenendo la disapplicazione del medesimo provvedimento.
Ma l’amministrazione finanziaria non si è data per vinta ed ha proposto ricorso innanzi alla Corte di Cassazione - Sezione Lavoro - che, con sentenza n. 20461 del 29 settembre 2014 (Pres. Lamorgese, Rel. Maisano) ha ridato torto, questa volta in via definitiva, al dipendente che, all’epoca dei fatti, era direttore tributario in servizio presso l’Ufficio delle Entrate.
Per i giudici della Suprema Corte, infatti, l’art. 23, lett. m) del CCNL del comparto Ministeri del 1995 annovera, fra i doveri del dipendente, quello di “non chiedere né accettare, a qualsiasi titolo, compensi, regali o altre utilità in connessione con la prestazione lavorativa“.
Nella motivazione della sentenza impugnata – scrive la Cassazione - il giudice dell’appello non tiene conto di tale previsione contrattuale, considerando un precedente decreto del Ministero della funzione pubblica del 31 marzo 1994 secondo il quale, anche a voler seguire l’argomentazione della sentenza impugnata, secondo la previsione limiterebbe la portata del divieto, la successiva contrattazione collettiva ha evidentemente derogato.
Va dunque affermato - conclude la Suprema Corte - il principio di diritto secondo cui il divieto previsto dall’art. 23, lett. m) del comparto Ministeri del 1995, di chiedere o accettare, a qualsiasi titolo, compensi, regali o altre utilità in connessione con la prestazione lavorativa, non integra la previsione, più limitativa, di cui al decreto del Ministero della Funzione Pubblica del 31 marzo 1994, ma prevale su di esso quale fonte sovraordinata e successiva.