L'uccisione a coltellate di Giulia Cecchettin da parte del suo ex fidanzato, il "bravo ragazzo" Filippo Turetta, sta suscitando qualcosa di nuovo nell'opinione pubblica. Questo nuovo era già percepibile con il successo del bel film di Paola Cortellesi "C'è ancora domani".
A me sembra sia in atto un salto nella presa di coscienza di un problema che è ancestrale e della necessità, oltre le misure di sicurezza per le donne vittime di femminicidi, di combatterne più attivamente le radici culturali annidate nel maschilismo. Una subcultura che considera la donna come un oggetto di proprietà e, spesso, chi ne è affetto, pur di non subire quella che considera una privazione simile al furto, ricorre financo all'omicidio efferato. Quest'anno prima di Giulia sono già state ammazzate in vari modi egualmente feroci oltre cento donne, ma questo delitto del "bravo ragazzo" sta suscitando particolare indignazione.
Il maschilismo fondato sulla sub cultura del possesso della donna è trasversale, ha una storia antichissima e il cammino delle società per liberarsene è lungo e tortuoso e va di pari passo con l'affermarsi del concetto pratico e culturale di liberazione della donna dalla soggezione al maschio. E questo per parlare dell'Occidente perché riguardo all'Oriente e al Sud del mondo la condizione della donna è messa assai più male. Il maschilismo ha riguardato, politicamente e culturalmente, anche il progressismo socialista e del movimento operaio. Anche in quell'ambito c'è stato un percorso di progressiva acquisizione di princìpi di parità e solidarietà. Basta conoscerne la storia travagliata.
Dove questo cammino non c'è stato è nella destra. Quando si tratta della rappresentazione politica di una cultura retriva non si può non rilevare che il cammino di emancipazione, prima, e di liberazione, poi, delle donne si è sempre trovato contro la destra italiana retriva e becera. Prima e dopo la legge e i referendum su divorzio e aborto, che sono stati avvenimenti dirimenti. Certo, anche in questo campo ha dovuto adeguarsi, ma sempre opponendosi, in maniera più o meno soft, come è successo nel maggio scorso, quando all'europarlamento Lega e FdI si astennero perfino sull'invito alla Ue a ratificare la Convenzione di Istanbul del 2011 sulla violenza contro le donne.
Quando si tratta di esibire il "machismo" - insieme a tanti altri disvalori sociali e umani, dall'immigrazione ai poveri, dai lavoratori che pagano le tasse alle facilitazione agli evasori fiscali - la destra lo sfoggia in ogni modo: dalle battutacce di Berlusconi sulle donne ai "fuori onda" di Giambruno, ai twitt di Salvini che, come al solito, non sa quel che dice e scrive.
Elly Schlein ha fatto bene a invitare Meloni a rafforzare, maggioranza e opposizione, la prevenzione culturale contro il maschilismo, mentre ha fatto altrettanto bene a rifiutare l'invito ad ornare con la sua presenza "Atreju", la festa di Giorgia Meloni. Detto per inciso, accettarlo sarebbe stato in contrasto radicale con le battaglie sociali e culturali in corso dei progressisti.
A livello culturale, per contrastare la subcultura maschilista non bastano campagne straordinarie nelle scuole, serve istituire un'ora di lezione apposita dalle medie in su, tenendo conto che le scuole medie sono il momento cruciale della formazione dei giovani.
Discutendo giorni fa con il mio amico Sergio Gentili, lui si domandava perché l'insieme delle forze progressiste politiche, sindacali e associative della società civile non creano diffusi nel territorio dei comitati di uomini contro la violenza sulle donne, collegati ai Centri anti violenza femminili. Mi è parsa una buona idea.
A livello politico sarebbe un modo concreto per rendere diffusa un'iniziativa concreta.
Sarebbe una bella novità politica.
Aldo Pirone
scrittore e editorialista
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