di Adriana Spera
Per mesi c'è stato detto che l'Italia era uno dei paesi europei con la situazione economica migliore, che grazie al contenimento della spesa pubblica del ministro Tremonti era quasi fuori dalla crisi. Il premier accusava chiunque si azzardasse a fare un'analisi attenta dei dati economici di disfattismo.
La parola d'ordine era e doveva essere a tutti i costi: ottimismo (sic!). Ripetuta fino alla noia, finanche allo scoppio della crisi greca, quando si disse che noi non eravamo uno dei paesi a rischio default uniti nell'acronimo PIGS, che stava a rappresentare invece Portogallo, Irlanda, Grecia e Spagna. Poi, improvvisamente, dopo i tentennamenti tedeschi a soccorrere l'economia greca abbiamo assistito agli attacchi all'euro, il cui rapporto di cambio con il dollaro è sceso di circa il 25%.
Se ripercorriamo quanto è accaduto dall'inizio della crisi ci rendiamo conto che a dinamiche speculative, che nessuno ha voluto o saputo fermare in tempo, e che pure hanno prodotto indebiti arricchimenti, hanno dovuto far fronte sempre e soltanto gli stessi ceti, lo stesso blocco sociale, quello dei lavoratori dipendenti, pagando nuove imposte, perdendo il lavoro, cedendo diritti acquisiti dai padri con dure lotte.
I lavoratori in questi due anni sono diventati ancora più poveri, gli speculatori delle varie cricche italiche ed estere continuano a proliferare e ad arricchirsi.
Anche l'euro, nella cui area siamo entrati con tanti sacrifici, non rappresenta più un approdo sicuro considerato che vi sono paesi, come la Germania, che mirano ad avere l'egemonia finanziaria sugli altri partner.
Su una sola cosa i governi europei appaiono uniti: considerare i lavoratori dipendenti una sorta di bancomat da cui attingere risorse - immediate e future attraverso la riduzione netta dello stato sociale - per risanare i disavanzi prodotti da politiche economiche sbagliate e da sprechi.
Per uscire dalla recessione si è sempre ricorsi a politiche di sostegno alla domanda e al reddito e non a politiche restrittive che bloccano la crescita.
Sembra quasi vi sia una regia globale per cassare il welfare state, privatizzare i servizi pubblici, ridurre i diritti acquisiti, come se, non essendovi più risorse da depredare con la speculazione finanziaria si volesse smantellare ogni tutela per avere lavoratori completamente asserviti.
In Italia, si va oltre, smantellando l'intero sistema cultura dalla scuola all'università, dagli enti di ricerca a quelle realtà che fanno ancora del nostro un paese apprezzato.