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Mercoledì, 03 Lug 2024

di Roberto Tomei

Una delle giustificazioni fondamentali dell’economia di libero mercato è che “il perseguimento del profitto individuale fornisce anche il meccanismo migliore per il perseguimento del bene comune”. Sennonché tale “certezza” è stata incontrovertibilmente smentita. Stando all’opinione degli esperti, infatti, nel duemila il 10% dei ricchi deteneva l’85% della ricchezza mondiale totale e negli anni successivi non solo le diseguaglianze tra gli uomini sono andate crescendo, ma la povertà si è diffusa in vaste aree del pianeta.

Su tale problematica ci invita ora a riflettere il teorico della “società liquida”, Zygmunt Bauman, in un agile ma denso volume, intitolato “La ricchezza di pochi avvantaggia tutti (Falso!)”, appena uscito in libreria per i tipi di Laterza.

La diseguaglianza di reddito non è di per sé rilevante se tutti diventano contemporaneamente più ricchi, ma lo diventa quando la maggior parte dei vantaggi va a un numero ristretto di persone che guadagnano già un reddito elevato, mentre “i poveri, e soprattutto i molto poveri, diventano più poveri”.

Secondo Bauman, tale stato di cose deriva da assunti accettati come ovvii, che invece altro non sono che “premesse non verificate, instabili o del tutto fuorvianti”.

Il primo di tali assunti è che solo la crescita economica consente di risolvere i problemi dell’umanità; viceversa, statistiche alla mano, l’aumento della ricchezza totale va di pari passo con l’approfondirsi della diseguaglianza sociale, in quanto segnala soltanto una crescente opulenza per pochi e una rapida caduta nella posizione sociale per molti altri. In sostanza, l’accumulazione di fortune avviene”per lo più con il trasferimento della ricchezza esistente piuttosto che attraverso la creazione di nuova ricchezza, imprese e posti di lavoro”.

Il secondo assunto si risolve nell’imperativo del consumo crescente, ma la strada per la felicità non passa attraverso lo shopping, dato che quest’ultimo spacca la società in un aggregato di consumatori, da una parte, e di consumatori mancati, dall’altra, con tutte le conseguenze immaginabili, che vanno dall’assenza di piacere fino all’assenza di dignità umana. Si assiste così, ancora una volta, “all’approfondirsi delle asimmetrie, diseguaglianze e ingiustizie, fra le generazioni e fra i paesi”.

Il terzo assunto è costituito dalla “naturalità” della diseguaglianza. Una credenza che tranquillizza chi sta in alto nella scala sociale ma è capace, nel contempo, di eliminare o ridurre la frustrazione e l’auto-riprovazione di chi sta in basso, facendo percepire come “ingiusti”, nel corso della storia, soltanto i cambiamenti sfavorevoli nella gerarchia sociale considerata come “normale” o “naturale”. Paradossalmente, oggi che l’argomento della “naturalità” è caduto, la diseguaglianza ci ha addirittura guadagnato, auto- propagandosi e auto- intensificandosi.

Il quarto assunto è costituito dalla “rivalità” come strumento ineliminabile per la soddisfazione delle aspettative di ciascuno. Ma anche qui ci troviamo di fronte a un falso presupposto, da cui deriva l’ineludibilità del conflitto tra gli uomini, che invece si potrebbe senz’altro evitare se la competizione fosse sostituita da una coabitazione fondata “sulla cooperazione amichevole, la reciprocità, la condivisione, la fiducia, il riconoscimento e il rispetto vicendevole”.

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