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Mercoledì, 03 Lug 2024

“Joe” di David Gordon Green, con  Nicolas Cage, Tye Sheridan, Sue Rock, Heather Kafka, Ronnie Gene Blevins, Adriene Mishler; durata 117’, nelle sale dal 9 ottobre 2014, distribuito da Movies Inspired.

Recensione di Luca Marchetti

Sembra essere diventata la norma quella di aspettare mesi, in alcuni casi addirittura anni, prima di vedere nelle nostre sale le pellicole passate nei concorsi dei maggiori festival europei.

Questa volta ad arrivare nei cinema italiani a più di un anno dalla sua anteprima veneziana è Joe, il film del regista americano David Gordon Green.

Dopo una lunga parentesi, più o mena riuscita, nella commedia scorretta di matrice Judd Apatow (si guardino pellicole come Strafumati o Lo spaventapassere) e il sorprendente piccolo omaggio al nonsense beckettiano di Prince Avalanche, il cineasta figlio della tradizione del cinema del Sundance Festival, torna alle origini, raccontando un perfetto dramma indie.

Nell’adattare per il grande schermo l’omonimo romanzo di Larry Brown, David Gordon Green si avvale della collaborazione straordinaria del divo Nicolas Cage che, messa da parte la sua bulimica carriera del cinema di genere (spesso di serie C), torna a fornire una prova sofferta e sentita, d’attore.

Al di là della qualità oggettiva dei suoi ultimi film (tendente al dimenticabile), Cage ha sempre messo in campo, nei ruoli più assurdi, l’enorme passione nei confronti del mestiere d’attore. Quest’amore per il proprio lavoro gli permette dunque di fare del suo Joe un personaggio unico, fotografia perfetta di se stesso.

L’eroe è infatti un uomo stanco, segnato da un passato da galeotto e da un lavoro borderline. E’ solo grazie all’incontro con il giovanissimo Gary (l’ottimo Tye Sheridan di Tree of life), ragazzo volenteroso “imprigionato” in un rapporto malato con un padre ubriacone e violento, che Joe/Cage trova il coraggio di rompere gli argini di una vita piatta e banalmente ordinaria, per cercare una nuova redenzione.

E’ normale, quindi, confondersi tra attore e personaggio, ritrovando nel film più di un segno della vita e della carriera dello stesso Cage. “E’ pieno di cicatrici.” “Si, ma gli altri sono tutti morti”. In questo dialogo, riferito al cane guerriero di Joe, possiamo, infatti, ritrovare la fiera ostentazione di un attore che per anni ha lottato nel mondo di Hollywood, cascando rovinosamente e vincendo molte battaglie, sempre presente, nonostante le risa di scherno dei detrattori.

David Gordon Green, dunque, ha la felice trovata di individuare l’interprete perfetto per costruire il suo nuovo ritratto della sperduta provincia americana, cavalcando a pieno l’onda dell’immedesimazione tra realtà e finzione. Oltre al discorso meta-cinematografico legato al suo protagonista, il regista continua la sua visione quasi documentaristica della fiction, riempiendo il proprio film di attori non professionisti (guardate l’interprete del viscido Wade, volto scovato tra la gente comune e scomparso immediatamente dopo la fine delle riprese) generando, nel confronto con i pochi divi, un cortocircuito interpretativo coinvolgente.

Come sempre David Gordon Green non riesce a limitare le proprie idiosincrasie e i propri difetti e si ritrova in più di un’occasione ad adagiarsi su stesso, interessato forse più a soddisfare l’anima indipendente del suo Cinema che l’economia narrativa del suo film.

Per fortuna c’è sempre Cage che, nel momento del bisogno, riesce a riportare Joe sui binari della strada giusta.

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