Il giovane favoloso, di Mario Martone, con Elio Germano, Isabella Ragonese, Michele Riondino, Massimo Popolizio, Edoardo Natoli, Anna Mouglalis, Valerio Binasco, Paolo Graziosi; durata 137’, nelle sale dal 16 ottobre 2014, distribuito da 01 Distribution.
Recensione di Luca Marchetti
Probabilmente, tra le tante pellicole viste all’ultima Mostra del Cinema di Venezia, solo Il giovane favoloso è stata l’opera che più ci ha fatto battere il cuore, il colpo di fulmine inaspettato che ci ha tramortito.
Il film diretto da Mario Martone (Noi credevamo, Morte di un matematico napoletano), infatti, non è la semplice biografia di Giacomo Leopardi, una cronaca agiografica e banale in cui vengono elencate date e avvenimenti in uno scontato ordine cronologico. Il giovane favoloso, piuttosto, è una pellicola che si svincola immediatamente dai rigidi confini del biopic tradizionale per restituire un’immagine del poeta di Recanati inedita e travolgente.
Leopardi, dunque, perde tutta la sua secolare rigidità scolastica e torna il ragazzo assetato di vita, amore e mondo, un’anima fragile costretta in un corpo ogni giorno più stretto, ogni minuto più doloroso.
Chi non sa riconoscersi nelle sue urla strozzate dal pianto, nel suo bisogno fisiologico di indipendenza, nei suoi amori adolescenziali e nelle sue cocenti e drammatiche delusioni? La rabbia contro le ottusità del padre, il disprezzo contro la pochezza d’animo dei suoi contemporanei e la consapevolezza tragica di essere, fisicamente e intellettualmente, unico, sono sfaccettature di quello spirito che l’ha guidato nello scrivere i suoi versi, arrivate davanti ai nostri occhi e rese plastiche grazie all’incredibile performance di Elio Germano.
L’attore romano, infatti, riesce a portare sul suo gracile corpo tutto il peso del Poeta, usando anche la propria esperienza sul palcoscenico teatrale per entrare nel cuore dell’opera leopardiana.
Il giovane favoloso, infatti, ha soprattutto il merito di essere un film pervaso dalla poesia. Il talento visivo (spesso colpevolmente sottovalutato) di Martone permette ai versi di Leopardi, concessi con grande generosità, di apparire sullo schermo in un riuscito e commovente binomio parola-immagine (si guardino le splendide scene finali). Le parole de L’infinito e de La ginestra trovano forma nella voce calibrata di Germano e nelle visioni di Martone e ci fanno entrare nel loro cuore con disarmante facilità.
Lungi da noi accusare di inefficienza il sistema scolastico italiano ma è innegabile che il film del regista napoletano abbia un valore pedagogico unico e riesca meglio di molte antologie liceali a consegnare il povero Giacomo ai furori della sua geniale gioventù, avvicinandolo finalmente al proprio pubblico.
Ignorato e sottovalutato da molti addetti ai lavori, sfiancati dal maestoso peso della pellicola, il film di Martone è dotato di una forza intellettuale rara per il cinema italiano, di una capacità unica di catturare la Storia, nello sguardo di una cinepresa, in tutta la sua innegabile attualità (forse solo il Bellocchio di Vincere era arrivato a tanto).
E’ normale che il pubblico meno avvertito, quello spaventato dalle durate importanti e abituato alle visioni superficiali, respinga tutto ciò.
Ma è proprio in questo che risiede la vittoria di Leopardi e di Martone. Una vittoria degna di essere applaudita.