Liberi servi. Il Grande Inquisitore e l’enigma del potere, di Gustavo Zagrebelsky, Einaudi editore, 2015, pp.292, euro 30,00.
Recensione di Roberto Tomei
Come i lettori più attenti ricorderanno, di Gustavo Zagrebelsky su questo giornale abbiamo già recensito altri volumi, dedicati a temi civili e politici.
Sulla stessa lunghezza d’onda si muove anche quest’ultimo lavoro, nel quale l’illustre docente torinese si confronta con un autore del calibro di Dostoevskij, in particolare con il passo dei Fratelli Karamazov dedicato alla leggenda del Grande Inquisitore (paragrafo V del libro V della parte II, che consigliamo di leggere prima di iniziare a scorrere l’opera che qui si presenta).
Quando Ivan Karamazov annuncia di volersi suicidare perché non sopporta più la presenza del male nel mondo, Dostoevskij apre una parentesi con l’atto d’accusa dell’Inquisitore contro il Cristo, considerato responsabile di ogni dolore, malvagità e afflizione degli uomini.
Col discorso del Grande Inquisitore Dostoevskij affronta una molteplicità di temi: dalla storia alla politica, dalla filosofia alla religione. Sono pagine importanti, che Zagrebelsky scandaglia con acume, sia esaminandole all’interno della più vasta opera dell’autore sia analizzandole in rapporto al pensiero politico della modernità, fattosi talora veicolo del cinico nichilismo dell’Inquisitore.
Sconsolato, l’autore si chiede in conclusione se, come sostiene l’Inquisitore, l’uomo sia veramente refrattario alla libertà, al punto di desiderare addirittura l’oppressione. Oggi ma ancor più domani, visto che “la tecnologia e il laboratorio , alimentati dalla finanza, saranno forse la fucina dell’essere umano liberato dalla libertà e programmato per essere docile o aggressivo, a seconda della circostanze”.
Rebus sic stantibus, in tempi di tecnologia applicata, proporre un nuovo umanesimo può avere solo il senso di far crescere la schiera di coloro che vogliono rifiutarsi di essere un pezzo dell’ingranaggio. Mi sembra, francamente, un risultato comunque non da poco.