Suburra, di Stefano Sollima, con Pierfrancesco Favino, Elio Germano, Claudio Amendola, Alessandro Borghi, Greta Scarano, Giulia Elettra Gorietti, Antonello Fassari, Jean-Hugues Anglade, Adamo Dionisi, durata 130’, nelle sale dal 14 ottobre 2015, distribuito da 01 Distribution.
Recensione di Luca Marchetti
Dopo Gomorra, c’è Suburra. Dopo le tristi e arcinote vicende legate alla cosiddetta Mafia Capitale (non ultimo, il tragicomico teatrino che è stato messo in scena sulle dimissioni del Sindaco Marino) e il successo del romanzo-inchiesta di Giancarlo De Cataldo (Romanzo Criminale) e Carlo Bonini (Acab), arriva finalmente in sala l’attesissimo Suburra di Stefano Sollima.
Se nel romanzo di De Cataldo-Bonini l’interessante impianto giornalistico (il caso del Water Front di Ostia, il legame tra la nuova criminalità e l’amministrazione comunale etc.) era appesantito da un castello di finzione forse non all’altezza, nel film Sollima abbraccia con forza la scelta del genere, immergendo il suo Suburra nel Nero più profondo.
La faida tra le batterie di Ostia e i clan sinti degli Anacleti, il lavoro sporco del corrotto parlamentare Malgradi o il potere violento e rassicurante di Samurai, unico re di Roma, sono solo alcune delle storie che si svolgono nelle strade putride di una Roma angosciante, rimasta schiacciata tra gli accecanti party di Sorrentino e la ferocia fosforescente di Garrone.
La Roma di Sollima non è molto diversa dalla Napoli di Gomorra o dalla Palermo di tante pellicole su Cosa Nostra. Non ci interessa sapere quanto questo paragone manifesto sia corrispondente al vero o sia piuttosto una furba operazione narrativa, per cavalcare ed enfatizzare la cronaca; sta di fatto che Sollima usa tutto il suo enorme talento visivo, costruito sui set delle migliori fiction degli ultimi anni, per realizzare un thriller vero, dall’ostentato e orgoglioso respiro internazionale.
Il regista romano si rifà al polar francese e al duro thriller americano, guarda a Jacques Audiard (il genere puro che diventa tragedia) e a Micheal Mann (Ostia come Miami), confezionando una pellicola dal ritmo torrenziale.
Non solo Sollima centra più di una scena, dai dialoghi statici ma trascinanti alle sparatorie inaspettate, ma sa anche come piegare la pachidermica sceneggiatura di Rulli e Petraglia ai suoi scopi, giocando con personaggi incredibili e situazioni esasperate.
Anche nei limiti di una struttura narrativa che cerca sempre di chiudere ogni storyline, anche a scapito della verosimiglianza, o che pecca di “eccessivo coraggio”, inserendo dettagli pretestuosi e slegati dal resto, Suburra prorompe nel Cinema Italiano con una forza esplosiva e sfrutta a pieno i piccoli ma fondamentali passi fatti dai pochi precedenti (pensiamo a Senza Nessuna Pietà di Michele Alhaique e Acab dello stesso Sollima).
Tra gli elogi, è doveroso citare anche il cast, perfetto, di interpreti, dove ai nomi eccellenti come Pierfrancesco Favino e Elio Germano (sempre ottimo anche nei panni meschini di questo Sebastiano, piccolo uomo ridicolo) si affacciano sulla scena anche le promesse mantenute Greta Scarano e Alessandro Borghi e le sorprese Adamo Dionisi e Giulia Elettra Gorietti.
Claudio Amendola, mai cosi in parte come nel glaciale e terribile Samurai (ricalcato apertamente sulla figura di Massimo Carminati), meriterebbe un lunghissimo discorso esclusivo.
In definitiva, Suburra è un film importante, per l’idea di Cinema Italiano che propone più che per la sua valenza politico-sociale. Una pellicola che deve, forse, il suo successo immediato al bisogno urgente del pubblico di un’alternativa alla solita commedia italiana, ma che, anche nei prossimi anni, rimarrà come un punto fermo per molti giovani aspiranti cineasti.
critico cinematografico