I fondamenti filosofici dell’insegnamento, di Arturo Verna, Editore Cacucci, Bari, 2015, pp. 175, euro 18.
Recensione di Roberto Tomei
Già docente di storia e filosofia nei licei e ora Dirigente scolastico, l’autore ha fatto parte del Centro studi di filosofia teoretica diretto dal prof. G. R. Bacchin, collaborando con la rivista Teoretica. I suoi studi si sono indirizzati prevalentemente alle filosofie di Kant e Hegel, che interpreta, nella tradizione della scuola cui appartiene, alla luce della “problematicità pura”.
Ne I fondamenti filosofici dell’insegnamento, Verna cerca di pensare il duplice compito che la Legge assegna alla scuola, di trasmissione/elaborazione della cultura e di formazione umana e critica della personalità dei giovani. Orbene, immediatamente cultura e pensiero critico sembrano inconciliabili: se la cultura è il sistema di valori condivisi da una società, ogni cultura pretende di essere vera cioè esclude la legittimità di altre culture; se il pensiero critico ricerca la fondatezza di una cultura, eo ipso implica la possibilità di altre.
Tuttavia, questa inconciliabilità è solo apparente. Infatti, il pensiero critico ricerca la fondatezza di una cultura perché immediatamente può non essere vera come pretende cioè perché la rivendicazione di una pretesa non basta a suffragarne la legittimità; e fa valere la possibilità dell’opposta nell’intento di inverarla, perché, appunto, la verità di una cultura emerge dall’impossibilità che non sia. Per ciò stesso, quella che, in nome di una presunta “specialità”, si sottrae al pensiero critico contraddice la sua intenzione perché, nonostante la sua pretesa, può non essere vera. Sicché una cultura è quel che deve essere non immediatamente ma mediatamente, se incoraggia il pensiero critico: il pensiero critico non è una cultura ma è ciò che adegua ogni cultura alla sua essenza. E, poiché non c’è veramente cultura senza vaglio critico, la scuola può assolvere entrambi i compiti che la Legge le assegna purché la cultura che trasmette/elabora vi sia costantemente sottoposta.
L’esame teoretico dei due compiti consente così, secondo l’autore, di individuare nella cultura “liberale”, aperta al dialogo e, quindi, alla critica dei pregiudizi propri e altrui, la possibilità di conciliare la formazione culturale con la formazione umana e critica.
In tale contesto, anche se l’insegnamento è una relazione asimmetrica, sbilanciata sul docente, questi è veramente un insegnante solo se insegnando apprende, mentre l’alunno è tale solo se apprendendo comincia a elaborare un proprio pensiero. L’educazione, infatti, non deve essere schiacciamento o inglobamento dell’altro sulle proprie posizioni, ma essenzialmente educazione alla libertà.