Banat (Il Viaggio), di Adriano Valerio, con Edoardo Gabbriellini, Elena Radonicich, Stefan Velniciuc, Piera Degli Esposti, Ovanes Torosian, durata 82’, nelle sale dal 7 aprile 2016, distribuito da Movimento Film.
Recensione di Luca Marchetti
In un anonimo appartamento di una Bari grigia e fredda si sfiorano due personaggi. Ivo è un agronomo e sta partendo per cercare fortuna all’estero. Clara, invece, è appena arrivata, ha un lavoro precario al porto ed è in fuga da una relazione dolorosa. Il loro, più che un incontro, è un incidente di percorso, un breve e fatale scontro, che li legherà improvvisamente, portandoli entrambi tra i boschi della Romania.
Presentato alla Settimana internazionale della critica dell’ultimo Festival di Venezia, arriva in sala Banat (Il Viaggio), opera prima del regista milanese Adriano Valerio (già segnalatosi al Festival di Cannes 2013 con il cortometraggio 37°4 S).
Nel suo film d’esordio, Valerio racconta una storia d’amore pura, immergendosi in atmosfere rarefatte e toni misurati. La sua narrazione, infatti, con delicatezza ed equilibrio, parla solo di sentimenti, evitando l’enfasi marcata dell’impatto emotivo diretto e sensazionalista.
Anche grazie alle interpretazioni dei suoi convincenti protagonisti Edoardo Gabbriellini e Elena Radonicich, volti non abusati dal cinema Italiano e per questo credibili ed efficaci, il regista regala una piccola pellicola, che trova nell’equilibrio del racconto e in un gusto visivo essenziale, ma consapevolmente ricercato, i propri punti di forza.
Valerio, inoltre, con Banat sembra guardare a modelli narrativi non scontati, come ai momenti migliori del piccolo Dieci Inverni, allo spirito secco delle opere da regista del suo protagonista Gabbriellini e alle atmosfere emotive (complice anche l’uso della Romania) dello struggente romanzo di Andrea Bajani, Se consideri le colpe.
Nella scrittura dell’autore, poi, si può trovare anche un uso intelligente dell’aneddoto, uno strumento che, ricordando molto le prime sceneggiature di Paolo Sorrentino, permette allo spettatore, in poche battute, di immaginare un intero mondo. Ne è un esempio il duro racconto dell’ex portiere dello Steaua, diventato agricoltore che, pur essendo palesemente fittizio (il vero Helmuth Duckadam è una tranquilla ex guardia di frontiera) conserva in sé tutto il suo impatto immaginifico.
Tra i vari commenti che hanno accolto Banat, molti hanno etichettato il film di Valerio come un’opera superflua, una pellicola povera e ombelicale. Eppure, nel racconto del lento avvicinarsi tra Ivo e Clara c’è qualcosa che, davvero, si trova raramente nel nostro cinema. C’è, infatti, una leggera voglia di narrare l’essenziale, di inserire l’attenzione estetica del regista dentro una storia semplice e diretta, in cui un amore normale è mostrato attraverso sorrisi accennati, frasi trattenute, piccoli gesti e sguardi eloquenti.
E’ su queste scene e queste immagini che si costruisce il film, regalandoci anche una delle sequenze più belle ed emozionanti dell’ultimo anno, quel karaoke improvvisato di Elena Radonicich che, sulle note di Rosanna Fratello, dichiara il suo amore a un Gabbriellini dallo sguardo estasiato.
Il film, candidato al David di Donatello per il migliore regista esordiente, forse pecca di alcune ingenuità (la prima parte barese è meno fluida e coinvolgente rispetto al meraviglioso terzo atto rumeno) ma mostra una profonda sincerità, che sarebbe ingiusto liquidare come se niente fosse.