Mistress America, di Noah Baumbach, con Greta Gerwig, Lola Kirke, Michael Chernus, Cindy Cheung, Joel Garland, Shana Dowdeswell, durata 86’, nelle sale dal 14 aprile 2016, distribuito da 20th Century Fox.
Recensione di Luca Marchetti
Dopo i successi (per molti osservatori notevolmente sopravvalutati) di Frances Ha e Giovani si diventa, Noah Baumbach torna al cinema con una nuova commedia indie, che vede come protagonista e cuore pulsante Greta Gerwig, propria partner sullo schermo e nella vita (Baumbach è abituato a lavorare con le proprie compagne, si veda la lunga e proficua collaborazione con l’ex moglie Jessica Jason Leigh).
Il regista - alfiere di un cinema fieramente snob e metropolitano, ambientato esclusivamente tra i locali e i personaggi giusti di una certa New York liberal e radical chic - confeziona qui una piccola commedia senza pretese, perfetta per la sua musa. La Gerwig, infatti, si trova davvero a suo agio, quasi ai limiti del racconto spudoratamente autobiografico, in questo mondo fatto di gallerie d’arte, scrittori dalle giacche con le toppe sui gomiti e aperitivi con vino bianco. Un universo urbano senza veri conflitti e problemi, dove chiunque, dotato dalla fortuna di agiatezze economiche e dei contatti giusti può vivere alla grande.
Mistress America, presentato all’ultimo Festival di Roma, è, dunque, una pellicola che non racconta una vera e propria storia, ma preferisce fotografare, sfruttando una fittizia confezione di satira sociale, un ambiente e le sue dinamiche alquanto superficiali. Guardando ai grandi maestri come Woody Allen e Jim Jarmusch, e passando attraverso il proprio elaboratissimo e colto gusto letterario, Baumbach regala al pubblico un’opera chiusa nella sua ostentata voglia di confermarsi di nicchia.
Con questo film, il regista (solito da anni a proporre pellicole così settarie da essere difficilmente apprezzabili da uno spettatore diverso dal newyorkese proto-hipster) vorrebbe prendere le distanze dai personaggi messi in scena ma continua, sfortunatamente, a dimenticarsi che, lui per primo, è l’esempio più concreto e manifesto del sistema culturale che sta deridendo.
Svuotate anche da questa presunta distanza narrativa-sociologica, le disavventure di Brooke e della sua sorellastra Tracy (l’interessante Lola Kirke, già protagonista della serie televisiva Mozart in the jungle) diventano cosi, agli occhi di un pubblico disinteressato alle relazioni e ai rapporti nel ceto intellettuale borghese/newyorkese, una sequela fastidiosa di sequenze con protagoniste due ragazzine viziate.
E’ proprio nell’esagerata e imperdonabile antipatia dei personaggi di Baumbach il limite di un regista che, a differenza dei suoi colleghi e amici Roman Coppola e Wes Anderson, perde sempre l’occasione di avvicinarsi ai propri spettatori. I suoi film, così, diventano solo sfoghi, intellettualmente anche affascinanti, di un autore disinteressato a uscire dal proprio recinto e dai propri (usurati) temi, incapace davvero di dire veramente qualcosa d’importante e decisivo con le proprie opere.