Il diritto di contare di Theodore Melfi, con Taraji P. Henson, Octavia Spencer, Janelle Monáe, Kevin Costner, Kirsten Dunst, Jim Parsons, Mahershala Ali, Aldis Hodge, Glen Powell, Kimberly Quinn, durata 127’, nelle sale dal 8 marzo 2016, distribuito da 20th Century Fox.
Recensione di Luca Marchetti
Da un’edificante, piccola e innocua commedia dalla confezione simil-indie alla gloria delle nomination agli Oscar, spesso a Hollywood, il passo è breve.
Il regista newyorkese Theodore Melfi ha sperimentato questa vertiginosa ascesa, soprattutto grazie alle attenzioni ricevute con il suo esordio cinematografico St. Vincent.
Il film del 2014, interpretato da un Bill Murray stropicciato e non troppo convinto, è una pellicola dalle buone intenzioni ma decisamente dimenticabile nel suo messaggio prevedibile. Eppure, il piccolo successo ottenuto dall’opera ha permesso al suo autore di vedersi affidato un progetto importante, un lavoro con ambizioni di botteghino e di premi.
Il diritto di contare, infatti, racconta la vera (e fino ad ora sconosciuta ai più) storia di un gruppo di donne afroamericane che, in ruoli tecnici fondamentali, hanno contribuito sensibilmente, nel dopoguerra, allo sviluppo del programma spaziale della NASA e, in particolare, alla buona riuscita della missione che ha portato il colonello John Glenn ad essere il primo americano a orbitare intorno alla terra.
La pellicola, per un necessario adattamento narrativo, si concentra principalmente sulla reale vicenda umana di Kathrine G. Johnson (ancora viva e vegeta, a quasi cent’anni di età), una brillante matematica che, con abnegazione e illuminanti intuizioni, ha permesso il glorioso trionfo di Glenn.
Il film, realizzato sulla scia dello spirito dell’Obama-era (la colonna sonora di Pharrell Williams omaggia apertamente gli slogan dell’ex presidente), si inserisce nell’interessante lettura del passato della comunità afro-americana già inaugurato dall’acclamato The Help.
Come nel film di Tate Taylor, anche Il diritto di contare vuole aprire una finestra sulle pagine dimenticate della società statunitense e dare voce a tutte quelle figure nascoste (specie le donne afroamericane) che con il loro impegno, considerato da tutti scontato e ignorabile, sono state fondamentali per la costruzione del Mito Americano.
Questo nuovo corso narrativo, black e femminista, non solo ha il valore “storico” di riesumare dall’oblio l’esempio morale e civico di personaggi ingiustamente dimenticati ma, artisticamente, ha permesso ad ottime attrici di guadagnarsi grandi ruoli, una merce così rara nell’industria cinematografica attuale.
Se Taylor era riuscito a esaltare definitivamente la bravura di Viola Davis e Octavia Spencer, Melfi permette alla splendida Taraji P. Henson di brillare, dimostrandosi finalmente la grande protagonista che è.
Il dubbio che questa “moda” cinematografica sia merito solo dell’intervento di autori e produttori bianchi (si guardi l’impegno della Plan B di Brad Pitt) e che sia solo grazie ad essi che grandi attrici come la Davis e l’Henson abbiano potuto avere la giusta considerazione, potrebbe far nascere qualche sospetto.
Anche questo meritorio “fenomeno” cinematografico è solo una manovra commerciale del sistema WASP di Hollywood?
Conquistati dal commovente coraggio delle protagoniste del film di Melfi, sinceramente, non ce la sentiamo di dare una risposta pessimista. Anzi, ci sentiamo di pensarla come il magnifico personaggio del grande Kevin Costner: che importa di che colore e di che sesso sia chi ha contribuito all’opera? L’importante sono i risultati, e quelli de Il diritto di contare sono, davvero, convincenti.