On the Milky Road, di Emir Kusturica, con Monica Bellucci, Emir Kusturica, Sergej Trifunovic, Bajram Severdzan, durata 125’, nelle sale dall’11 maggio 2017, distribuito da Euro Pictures.
Recensione di Luca Marchetti
E’ evidente che per il grande Emir Kusturica siano, ormai, ben lontani i tempi gloriosi della doppia clamorosa palma d’oro a Cannes (con i suoi capolavori Papà…è in viaggio d’affari e Underground) e del successo mondiale (con tanto di pellicola hollywoodiana con Johnny Depp e Jerry Lewis).
Quello che è stato, a tutti gli effetti, il più importante autore cinematografico proveniente dall’ex Jugoslavia (e, soprattutto, uno dei nomi più acclamati del panorama europeo negli anni novanta) dopo partecipazioni come attore a film altrui e documentari calcistici (la sua imperdibile agiografia Maradona sul Pibe de oro), con la sua ultima fatica di fiction ha dimostrato di essere arrivato ad un punto di non ritorno nella propria carriera. On the Milky Road, infatti, è la prova d’artista, spassionata e malinconica, di un autore arenato in una visione ripetitiva, incastrato per sempre in un’idea di narrazione e in un personaggio, dai quali non può, o forse non vuole, liberarsi del tutto.
Presentato senza grandi clamori all’ultimo Festival di Venezia, On the Milky Road, dunque, sarebbe potuto essere un grande ritorno. Purtroppo, il film non è altro che l’ennesima riproposizione di quella tipica storia balcanica, impregnata di una poetica fin troppo riconoscibile, tanto cara a Kusturica. Una vicenda che, pur con la più sincera onestà intellettuale, nel 2017 è diventata stantio manierismo. L’ennesimo sguardo favolistico e comico al terribile conflitto serbo-bosniaco, dopo anni di ottimi racconti e pellicole, sembra più il nostalgico ballo di un vecchio e stanco artista che la forte sferzata di un regista pronto a tutto, convinto di aggiungere il proprio radicale punto di vista.
La surreale e romantica storia d’amore tra un lattaio silenzioso, chiaro omaggio a Chaplin, e una lunare sposa venuta dall’altra parte del mare, pur vendendosi come nuova, onirica, via di fuga dall’orrore di una vicenda fratricida, si rivela, invece, il compitino facile di chi, comodo nel proprio status, usa i trucchi del mestiere per portare a casa l’obiettivo minimo.
Da questo punto di vista il film, non solo delude per l’inoffensiva morale scontata (l’amore vince sull’orrore) e per la sua statica riproposizione (senza ispirazioni) dei luoghi comuni del regista ma, soprattutto, irrita per una messa in scena confusa e per la costruzione narrativa.
E’ imperdonabile, infatti, che l’autore, in modo disordinato, sia riuscito a sprecare la sua intuizione più interessante: l’uso spregiudicato della forza clamorosa del volto iconico della splendida Monica Bellucci. L’attrice italiana, purtroppo, è schiacciata dal disequilibrio del racconto e più che un magnifico totem erotico da venerare (e con cui giocare), diventata una presenza ingombrante, difficilmente diluibile nel flusso narrativo.
critico cinematografico