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Mercoledì, 03 Lug 2024

La Corte di Cassazione, con sentenza n. 22480/2016, ha esaminato e deciso un ricorso proposto dalla Provincia di Pescara, in materia di risarcimento in caso di abuso di contratti di lavoro a termine.

Il Tribunale di Pescara, infatti, aveva respinto la domanda proposta da un nutrito gruppo di lavoratori, volta all'accertamento del loro diritto alla stabilizzazione presso la Provincia di Pescara, ovvero al risarcimento del danno per mancata stabilizzazione, ovvero alla trasformazione dei contratti a tempo determinato in contratti a tempo indeterminato, ovvero al risarcimento del danno per mancata conversione a tempo indeterminato dei loro contratti di lavoro.

La Corte di Appello di L' Aquila, adita dai medesimi lavoratori, con la sentenza n. 198/2015, in parziale riforma della sentenza impugnata, condannava la Provincia di Pescara al risarcimento del danno nei confronti degli appellanti, nella misura pari a venti mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto dagli stessi percepita, oltre interessi.

Avverso la decisione della Corte di Appello di L’Aquila, la predetta Provincia adiva la Corte di Cassazione che, nel respingere il gravame, ribadiva il seguente principio di diritto:

“In materia di pubblico impiego privatizzato, nell'ipotesi di abusiva reiterazione di contratti a termine, la misura risarcitoria prevista dall'art. 36, comma 5, del d.lgs. n. 165 del 2001, va interpretata in conformità al canone di effettività della tutela affermato dalla Corte di Giustizia UE (ordinanza 12 dicembre 2013, in C-50/13), sicché, mentre va escluso - siccome incongruo - il ricorso ai criteri previsti per il licenziamento illegittimo, può farsi riferimento alla fattispecie omogenea di cui all'art. 32, comma 5, della L. n. 183 del 2010, quale danno presunto, con valenza sanzionatoria e qualificabile come "danno comunitario", determinato tra un minimo ed un massimo, salva la prova del maggior pregiudizio sofferto (come perdita di "chance" di un'occupazione alternativa migliore), con onere della prova a carico del lavoratore, ai sensi dell'art. 1223 c.c., senza che ne derivi una posizione di favore del lavoratore privato rispetto al dipendente pubblico, atteso che, per il primo, l'indennità forfetizzata limita il danno risarcibile, per il secondo, invece, agevola l'onere probatorio del danno subito”.

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