Risponde di omicidio colposo il sanitario che attesti l’idoneità alla pratica sportiva agonistica di un atleta, in seguito deceduto nel corso di un allenamento a causa di una patologia cardiologia non diagnosticata dal sanitario per l’omessa effettuazione di esami strumentali più approfonditi laddove, in presenza di tracciati elettrocardiografici sospetti, il medico avrebbe dovuto doverosamente potenziare la verifica dell’integrità psico-fisica del paziente per prevenire gli eventi nefasti previsti dai protocolli.
E’ quanto emerge dalla sentenza, depositata ieri, n. 20943/23, emessa dalla Quarta sezione penale della Corte di Cassazione, che ha ritenuto inammissibile il ricorso proposto da un medico specializzato in medicina dello sport, condannato sia in primo grado che in appello a mesi otto di reclusione, pena sospesa, in quanto, con condotta imprudente, imperita e negligente, non conforme ai canoni della migliore scienza medica, aveva rilasciato certificato di idoneità alla pratica agonistica del ciclismo con durata annuale, nonostante i tracciati di ben due ECG al massimo sforzo, cui era stato sottoposto il paziente a febbraio 2012 e a marzo 2013, mostrassero segni ampiamente significativi di “ischemia miocardica infero-laterale”. Il secondo esame evidenziava, addirittura, segni di peggioramento.
Pertanto, sottolineano i Giudici della Suprema Corte, il medico avrebbe dovuto astenersi, sia nel 2012 che nel 2013, dal rilasciare il certificato di idoneità alla pratica agonistica del ciclismo, sulla base dei “Protocolli cardiologici per il giudizio di idoneità allo sport agonistico”.
Quanto alla sussistenza del nesso di causalità tra la condotta omissiva colposa e il decesso del paziente, avvenuto il 1° agosto 2013, nel corso di un allenamento ciclistico per “arresto cardiaco acuto da verosimile recidiva di infarto, in soggetto con esiti di pregresso infarto del miocardio”, leggesi nella sentenza in rassegna che, “a fronte di un tracciato ECG patologico, se il medico non avesse rilasciato il certificato di idoneità alla pratica agonistica del ciclismo ed avesse indirizzato il paziente ad una completa valutazione cardiologica, in modo da prevenire future aritmie, l’omesso riconoscimento dell’idoneità alla pratica sportiva agonistica lo avrebbe indotto a non proseguire gli allenamenti intensi in bicicletta, idonei a provocare ‘una discrepanza ossigenativa su una parte del muscolo scheletrico’ ”.
Rocco Tritto