Con ordinanza n. 7640/2024, pubblicata lo scorso 21 marzo, la Cassazione – sezione Lavoro – ha respinto il ricorso proposto da un Istituto bancario avverso la decisione della Corte d’appello di L’Aquila n. 712/2019, che aveva condannato l’Istituto ricorrente al pagamento in favore di una sua dipendente dell’importo dovuto a titolo di risarcimento del danno da dequalificazione professionale (per la durata di mesi 6), nonché a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale, per la somma complessiva di euro 19.874,00, oltre interessi legali.
Per la Corte d’Appello, infatti, dalla documentazione in atti e dalla prova testimoniale espletata innanzi al Tribunale, “era risultato sufficientemente dimostrato che la condotta datoriale, nel lasciare forzosamente inoperosa la lavoratrice, aveva comportato uno svilimento ed un impoverimento di quel corredo di nozioni, abilità ed esperienze che la prestatrice aveva precedentemente maturato, impedendole una piena utilizzazione del patrimonio professionale acquisito nella fase pregressa del rapporto”.
Tale tesi è stata ritenuta dalla Cassazione del tutto immune dalle critiche mosse dall’Istituto ricorrente per ottenere il travolgimento della impugnata ordinanza.
In conclusione, ricorso rigettato, con condanna della parte ricorrente al pagamento a favore della dipendente controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, oltre che al versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato.
Rocco Tritto