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Giovedì, 25 Apr 2024

Il 4 novembre scorso è stato reso noto il parere n.2303/2016 del Consiglio di Stato sulle tanto discusse “cattedre Natta”, il Dpcm in gestazione del governo in carica, finalizzato a rendere “attrattiva e competitiva” la nostra ricerca, nient’altro che l’ennesima puntata della “chiamata diretta”.

Una storia cominciata più di trent’anni fa con la L. 382/80, che riguardava solo studiosi non italiani, continuata poi con la L.127/97, che comprendeva anche i nostri connazionali, la L. 230/2005, che segnava un ulteriore ampliamento della chiamata diretta, la L. 1/2009, che estendeva tale chiamata anche ai ricercatori, la L. 69/2013, che prevedeva la chiamata diretta da parte dell’ateneo col nulla osta ministeriale, la L. 114/2014, che esigeva che anche le chiamate dirette dovessero essere sottoposte alla commissione per l’Asn del settore concorsuale specifico.

Questo lo scoordinato quadro normativo su cui è intervenuta, da ultimo, la L. 208/2015, che costituisce la norma di autorizzazione (art. 1, commi 207-212) del Dpcm in discorso e stabilisce l’assunzione dell’onere finanziario delle istituende cattedre da parte del Miur nonché la costituzione di apposite commissioni per la selezione dei candidati.

Strutturato su 8 articoli e 2 allegati, il Dpcm riorganizza i settori concorsuali, riducendoli a 25 come le aree Erc (European research council), e prevede una procedura nazionale di selezione affidata a commissioni (anche queste 25), composte di 3 membri e presiedute da uno studioso “di elevatissima qualificazione”, italiano o straniero, che, a sua volta, sceglie gli altri 2 commissari, sempre ”ultraqualificati” e nominati con Dpcm , nell’ambito di una rosa di nominativi fornita dall’Anvur (i cui componenti sono anch’essi nominati dal governo).

In definitiva, presidente e commissari di nomina governativa, con gli atenei marginalizzati o assenti del tutto, considerato che i commissari possono essere anche “stranieri”. Tutto diverso, dunque, da quanto ora avviene per l’Asn (ex art. 16 l. 240/2010), in cui i componenti delle commissioni sono formati per sorteggio, all’interno di una lista composta per ciascun settore concorsuale da professori ordinari del settore, che eleggono poi il loro presidente.

Quanto alla valutazione per le cattedre Natta, ci sono 2 fasi. Prima si vede l’ammissibilità dei candidati e poi se ne valuta il profilo scientifico in base ai titoli. Il giudizio finale è espresso con un punteggio da 0 a 100 (per vincere occorre totalizzare almeno 80/100) e viene reso previa acquisizione di un parere pro veritate dato da soggetti esterni alle commissioni (!?!). Si formano così le graduatorie di ordinari e associati (oltre a liste di riserva degli idonei) e da queste, entro 12 mesi dalla pubblicazione, ciascun ateneo può attingere, su domanda dei vincitori stessi ma nel limite del 30% dei posti assegnati a ciascuna delle 25 aree Erc.

I selezionati con questa procedura hanno un trattamento stipendiale più elevato rispetto ai colleghi del reclutamento ordinario. Le relative risorse sono assegnate agli atenei dal Miur, attingendo dal Fondo Natta.

Questo il contenuto dell’ordito normativo su cui si è pronunciato il Consiglio di Stato in sede consultiva.

Rispetto ad esso, nel verificarne la rispondenza alla legge di autorizzazione, ma anche la possibilità di una sua “rapida attuazione” (nel contesto ordinamentale) e “corretta fattibilità”, il massimo organo della Giustizia amministrativa ha sottolineato 4 questioni generali.

La prima attiene al rispetto dell’autonomia universitaria (art.33 Cost.), con riguardo al quale ha rilevato due profili di criticità, in quanto, da un lato, nel decreto manca il coinvolgimento degli atenei nella nomina delle commissioni, dall’altro, nella sua elaborazione non è stato coinvolto il mondo accademico (Crui e Cun), che invece va sentito. La percezione di un “intervento estraneo” è rafforzata, poi, dal fatto che la presidenza delle commissioni può essere affidata anche a studiosi stranieri.

La seconda questione riguarda il carattere sperimentale e straordinario del regolamento, che esige che questo sia adeguato sotto due profili: “quello della definizione dei criteri per stabilire i settori scientifici verso i quali assegnare prioritariamente le assunzioni straordinarie e la mobilità inter-atenei e quello di una trasparente verifica dei risultati prima di passare a una fase di regime”, sicché occorrerebbe “prevedere già nel regolamento il coinvolgimento delle università sulle quali la sperimentazione va a incidere”, dovendosi altresì sottolineare che la verifica dovrà ricomprendere tanto il meccanismo di accesso in deroga quanto quello della scelta dei settori su cui intervenire prioritariamente. Verifica da rendere poi pubblica, per effettuare la quale si potrebbe utilizzare la Vir (Verifica di impatto della regolazione). Anche qui, interventi mirati e idonei a attrarre risorse di chiara fama debbono passare attraverso il coinvolgimento dell’accademia.

La terza questione, in particolare, attiene allo status del professore universitario reclutato con la procedura in questione, che costituisce un novum secondo un modello extra ordinem, più vantaggioso non solo sotto il profilo economico, ma anche per altri aspetti relativi al trattamento giuridico. Mancano, anche qui, secondo i giudici di Palazzo Spada, strumenti di verifica sia dei risultati nella didattica che nella ricerca, diversamente da quanto stabilito per i professori di I e II fascia, con l’effetto di conferire un trattamento vantaggioso sganciato dal rendimento e con l’ulteriore aggravante che il concorso degli atenei alla retribuzione potrebbe aprire la strada, in un contesto concorrenziale, a una lievitazione del trattamento sino al tetto massimo stabilito per i dipendenti pubblici.

Il Dpcm, inoltre, non disciplina il rapporto tra tale reclutamento e quello ordinario, sicché non è chiaro se i “professori Natta” siano da ritenere in sovrannumero. In caso contrario, si avrebbe una procedura che si sovrapporrebbe a quella ordinaria, con l’effetto di ridurre i posti per i selezionati con questa.

Altra differenza vantaggiosa è la mobilità interuniversitaria, a fronte di una rigidità del sistema per i reclutati in via ordinaria, tenuti a permanere nell’ateneo della chiamata per un periodo che varia dai 3 ai 5 anni, sicché anche sotto tale aspetto il regolamento va rivisto, così come lo stesso deve far chiarezza nei rapporti tra le “cattedre Natta” e le “chiamate dirette per chiara fama” (L. 230/2005), sottoposte a requisiti più stringenti.

La quarta ed ultima questione sollevata dal Consiglio di Stato riguarda il riordino dei settori concorsuali secondo le aree Erc.

Tale riordino, scrivono i Giudici di piazza Capo di Ferro, potrebbe prestarsi a rilievi sul piano della ragionevolezza in sede contenziosa, trattandosi di aree non omogenee, per oggetto e finalità, con i settori concorsuali (ben 188) del nostro sistema universitario. In ogni caso, legge alla mano (240/2010), ogni riorganizzazione dei settori deve passare attraverso la consultazione del Cun.

Per il Consiglio di Stato, insomma, non sono pochi gli aspetti da rivedere o integrare. Motivo per cui, affinché il richiesto parere, obbligatorio ex lege, diventi incondizionato, è necessario che il governo recepisca le stringenti osservazioni elencate dello stesso Consiglio.

Tocca ora al Governo provvedere.

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