A occultare le pratiche si fatica di meno ma si viene licenziati. Questa la morale che si ricava dalla vicenda di un lavoratore che in un armadio aveva nascosto di tutto: pratiche di riscatti e di ricongiungimenti, fogli matricolari e di congedo illimitato, tessere assicurative con marche riutilizzabili, ricorsi risalenti al secolo scorso (solo di questi ultimi, almeno una sessantina).
Per difendersi, l’”Imboscatore”, se così possiamo chiamarlo, si è difeso con le unghie e coi denti in tutti i gradi di giudizio, ma i suoi ricorsi sono stati sempre respinti: dal Tribunale, dalla Corte d’Appello e, infine, dalla Corte di Cassazione che, con sentenza n. 515 del 2 marzo 2017, ha confermato la legittimità del licenziamento intimato dall’Inps e dei provvedimenti restitutori, economici e reali, stante che “la condotta contestata era grave e la sanzione risolutiva proporzionata, avuto riguardo agli atti occultati e alla rilevanza anche sul piano economico delle pratiche non trattate”.
Tutti i motivi di ricorso sono stati così rigettati o dichiarati inammissibili dalla Suprema Corte, la quale, in particolare, ha riconosciuto: l’inutilità di porre questioni sull’iter disciplinare, poiché l’interessato era stato comunque messo al corrente di tutti gli addebiti contestatigli; che il ricorso non indicava il parametro di legge o di contratto violato dal datore di lavoro con l’accesso al contenuto dell’armadio in dotazione; che tutti gli altri motivi di ricorso miravano a una non consentita rivalutazione del merito, mentre le prospettazioni esposte nelle note di replica muovevano da “critiche eccentriche” rispetto al perimetro del vizio ex art.360 del codice di procedura civile.