di Biancamaria Gentili
Fin dal suo insediamento a presidente dell’Istat nel 2009, Giovannini ha posto al centro della sua agenda lo sviluppo di una misura del benessere.
Per realizzare gli indicatori del Benessere equo e sostenibile (Bes), è stato nominato un Comitato di indirizzo presso il Cnel, formato da 25 persone, e una Commissione Tecnico-Scientifica presso l’Istat, composta da 79 persone. Un’enorme mole di lavoro che ha tenuto impegnato più di un centinaio di esperti per oltre due anni, ma che, in fin dei conti, come vedremo, ha prodotto un risultato dallo scarso valore aggiunto informativo.
Il debutto del Bes, avvenuto lunedì 11 marzo, non poteva celebrarsi in un contesto meno favorevole. Nello stesso giorno, infatti, l’Istat ha diffuso i dati sul quarto trimestre del Pil, che hanno mostrato una caduta già acquisita dell’1% per il 2013. Anche se gli indicatori del Bes, nelle intenzioni di Marzano, presidente del Cnel, e Giovannini, “aspirano a divenire una sorta di Costituzione statistica”, le televisioni e i giornali si sono di fatto preoccupati solo delle pessime prospettive di ripresa economica evidenziate dal Pil.
Senza questa concomitanza, la sorte del Bes sarebbe probabilmente stata la stessa. I 134 indicatori prescelti, che rappresentano le 12 dimensioni del benessere, non sono certo una novità, in quanto derivano per lo più dalla vasta produzione che fa capo all’Istat o al Sistan e sono già stati diffusi in altre pubblicazioni a carattere generale dell’ente statistico.
Analizzando le singole dimensioni, con alcuni indicatori in aumento e altri in diminuzione, non si capisce se il benessere stia crescendo o meno, né si può apprezzare se il livello di benessere rappresentato da ciascuno dei medesimi indicatori abbia raggiunto una soglia minima. Manca, inoltre, un valore di sintesi che, esprimendo i diversi indicatori in un’unica metrica e assegnando a ciascuno di essi la propria importanza, misuri il livello di benessere raggiunto.
Per non parlare dell’equità e della sostenibilità presenti nell’acronimo ma praticamente inesistenti nel Rapporto.
Anche la scelta dei contenuti lascia perplessi, se si considera che mancano importanti indicatori come la povertà minorile; il disagio estremo che conduce al suicidio; il commuting, ovvero il tempo di percorrenza tra casa e lavoro/studio e viceversa.
Il Rapporto Bes, così come si presenta, non solo non è esaustivo, ma soprattutto non consentirà di andare “oltre il Pil”, per misurare il vero progresso sociale, come indicato dal rapporto della Commissione Stiglitz-Sen-Fitoussi del 2009.
Lo stesso Kuznets, inventore della Contabilità nazionale, fin dagli anni ‘30 aveva evidenziato i limiti del Pil, che considera come crescita economica solo tutto ciò che produce ricchezza monetaria, anche se superflua o in danno all'ambiente circostante e alle generazioni future. Limiti, ai quali il Bes non sembra fornire risposte, né ora, né in prospettiva.
E in assenza di valide alternative o misure complementari del Pil, continueremo ad essere schiavi di questo numero che condiziona e vincola le politiche economiche del Governo.