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Sabato, 06 Lug 2024

Non sembra destinata a placarsi la protesta dei lavoratori Istat della sede di via Tuscolana per la decisione dell’amministrazione di installare un sistema di amplificazione del segnale Gsm/Dcs/Umts per la telefonia mobile.

Nella giornata di mercoledì 9 ottobre, in occasione di un “Workshop sul portale statistico delle imprese”, che si teneva presso la sede dell’Istat posizionata ai confini del Gra, il Rappresentante dei lavoratori per la sicurezza di Usi-Ricerca ha coinvolto numerosi lavoratori in un flash mob, per sollecitare l’Amministrazione a rivedere la propria posizione sull’utilità e sulla non nocività dell’impianto.

Un’iniziativa, quella del rappresentante Usi, che ha causato anche una sgradevole quanto gratuita reazione da parte di un primo ricercatore dell’Istat, peraltro privo di qualsiasi ruolo nella vicenda e solo momentaneamente in visita nella sede Istat di via Tuscolana, che nella serata di mercoledì, però, ha dovuto porgere le proprie scuse al rappresentante dell'Usi.

Il fatto che oggi l’Istat voglia provvedere all’installazione di un sistema di amplificazione per far fronte alla mancata copertura totale del segnale di telefonia mobile è, però, solo un effetto di una reazione a catena che si protrae da lungo tempo e che è utile ricordare a grandi linee.

Nel 2007, l’Istat acquistò dal comune di Roma un terreno a Pietralata per costruire una sede unica per i propri uffici. Nonostante la possibilità di accedere fino al 2011 ad un mutuo a tasso agevolato della Cassa Depositi e Prestiti, che avrebbe reso l’operazione finanziariamente sostenibile, il progetto non è mai decollato.

Nel frattempo l’ente statistico ha preso in affitto ulteriori spazi, al di sotto del livello stradale, sempre nella sede di via Tuscolana, fabbricato originariamente realizzato come luogo di esposizione e deposito mobili, da sempre ritenuto dall'Usi-Ricerca inidoneo a ospitare uffici pubblici.

La mancata effettuazione di interventi di messa in sicurezza della sede centrale di via Balbo hanno costretto l’estate scorsa l’Istat a spostare in via Tuscolana un centinaio di lavoratori, non senza polemiche e malumori.

Dopo aver dato il via libera al trasferimento dei suoi dipendenti, il direttore delle statistiche su imprese, commercio estero e prezzi al consumo ha fatto sapere che lui e la sua segreteria non si sarebbero mossi dalla sede centrale se non fosse stata garantita la piena copertura del segnale di telefonia mobile. Una decisione poi ritrattata alla fine dell’estate in cambio, evidentemente, di una promessa ad adempiere.

Dura la reazione del Rls dell'Usi-Ricerca, promotore anche di una petizione contro l’installazione dell’antenna, sottoscritta da oltre 200 lavoratori, che in una relazione inviata al direttore generale ha chiesto il rispetto della normativa vigente, l’applicazione del principio di precauzione e assicurazioni scritte sulla non nocìcività del realizzando impianto per la salute dei lavoratori, in particolar modo per coloro che utilizzano dispositivi elettromedicali.

Ora c'è da chiedersi: in tempi di spending review è giustificabile una spesa presunta di circa 15.000 euro per un'antenna o non sarebbe più salutare – sotto tutti i punti di vista – spostare al piano superiore il direttore centrale e la sua segreteria, i quali asseriscono che i loro cellulari non captano alcun segnale?

Una risposta da parte del neo direttore generale reggente dell'Istat, Paolo Weber, che ha ereditato la scottante questione dal suo predecessore, sarebbe quanto mai oppportuna.

LA REPLICA

 

Caro Foglietto,

dopo l’articolo del 15 ottobre scorso, dal titolo "Istat. L'antenna della discordia fa saltare i nervi a un primo ricercatore", come sempre innamorato della esattezza dei fatti, questa mia in risposta all’articolo di Alex Malaspina, che ha pure palesato qualche rosa.

 

Egli si chiede, a fine articolo, se non sia: “salutare – sotto tutti i punti di vista – spostare al piano superiore il direttore centrale e la sua segreteria, i quali asseriscono che i loro cellulari non captano alcun segnale”.

Il professor Daniele Trinchero, docente di Campi Elettromagnetici presso il dipartimento di Elettronica del Politecnico di Torino, ha dichiarato su La Stampa che: ”un telefonino irradia il minimo segnale utile per raggiungere la stazione radiobase più vicina. Ciò significa che dove il segnale è forte, come nelle città, la potenza irradiata da un cellulare è minore”.
Da tale dichiarazione ne traiamo che, in assenza di segnale la potenza irradiata da un cellulare, è dunque maggiore. Se ciò fosse nocivo (e il dibattito è a dir poco controverso), nel nostro caso, lo sarebbe ancor di più.

 

In buona sostanza, avere un minor numero di tacche di segnale sul telefono o non averne proprio sta a significare che l’apparecchio cellulare lavora di più ed emette più radiazioni per ottenere il segnale dal ponte radio. Bisognerebbe, quindi, effettuare chiamate (sempre con l’auricolare) quando il segnale è forte. Come si fa?

Ciò premesso mi sono fatto promotore di un sotto-sondaggio-petizione (in allegato alla presente) raccogliendo una lista di firme (che parrebbe lo sport del momento) di parte del personale “sottolivellato” (niente a che vedere con le oltre 200 firme degli anti-antennisti del piano di sopra), muovendomi guardingo per i sotterranei abitati, a dimostrazione del fatto che il problema non è solo riduttivamente della segreteria e del direttore della “direzione centrale delle statistiche strutturali sulle imprese e le istituzioni, del commercio con l’estero e dei prezzi al consumo” ma ulteriori 40 persone circa (che potrebbero aumentare), non tutte ovviamente in forza alla segreteria di direzione sopra menzionata, asseriscono le stesse difficoltà a captare il segnale e quindi a prendersi, per giunta, maggiori radiazioni.

 

“Cornuti e mazziati” direbbe Totò. A tutela di questa minoranza sotterranea e silenziosa, domandarsi se soluzioni consistenti nello spostamento “al piano di sopra” di solo 5 persone siano salutari è discriminante, ma sicuramente questo l’articolist lo ignorava; inoltre tra i sottoscrittori del sotto-sondaggio vi sono alcuni che vivono, loro malgrado, situazioni familiari gravi da cui scaturisce la necessità di essere reperibili in qualsivoglia momento della giornata. Domando, ancora una volta: Come si fa?

Per ogni formula “ascensionista” ne va pensata una “discesista” per colmare i vuoti lasciati liberi dai primi. Lasciandosi andare a questo giochino, occorre trovare, dunque, almeno 40 posti al piano di sopra e farne scendere altrettanti al piano di sotto.

 

Il problema potrebbe venire risolto con una lotteria tra i 200 firmatari anti-antenna il cui primo premio potrebbe essere un bel posto sotto-livellato vista muro, privo di inquinamento da elettro-smog, insomma: una postazione di lavoro a “tacche zero”, quasi un bunker. Questo fa ridere tra le lacrime.

D’accordo sul fatto che la sede di via Tuscolana non è idonea per tanti motivi, e questa è la rosa del discorso, salutare sarebbe (oltre l’uso dei piccioni viaggiatori) cercare una sede, viceversa, idonea ad ospitare uffici pubblici e relative comunicazioni mobili contemporanee, raggiungibile senza scavalcare automobili, senza dover avventurarsi in percorsi pedonali improvvisati e spericolati, infine un luogo dove la civiltà si sia già affacciata, almeno timidamente, con uffici postali, banche, farmacie e con un degrado urbano meno marcato e più consono al decoro che dovrebbe avere la sede di un istituto di ricerca.

La spending review prende in considerazione lo sperpero di denaro pubblico: il costo degli affitti esorbitanti delle strutture di proprietà di privati costano all'Erario milioni all'anno, quando a Roma e in Italia (ricordo che abbiamo anche gli uffici regionali) ci sono strutture demaniali abbandonate che potrebbero consentire notevolissimi risparmi oltre, chiaramente, ai circa 15.000 euro di antenna suppletiva.

Di certo non può dirsi salutare essere costretti a lavorare nei seminterrati (o forse meglio scrivere sotterranei che, nelle definizioni ufficiali, sono quei locali posti completamente al di sotto del marciapiede) come nel nostro tristissimo caso; pagarci pure un bell’affitto è aggiungere danno alla beffa. Per la sede di via Tuscolana, in verità, non andrebbe speso più nemmeno un centesimo di euro, proprio a cominciare dall’affitto.

Asserisco altresì, sempre in merito alle notizie riportate nell’articolo oggetto della presente, che la “decisione poi ritrattata (quella di trasferirsi ndr) alla fine dell’estate in cambio, evidentemente, di una promessa ad adempiere” del direttore della DCSP e dei quattro “renitenti” della sua segreteria non fu dettata da ventilate promesse di “marinaresca” memoria, bensì da un secco “dispaccio reale” (in puro stile borbonico, appunto), oltretutto pervenuto dopo reiterate istanze di chiarimenti, dell’allora direttore generale dr.ssa M. Carone la quale, in data 11 luglio 2013 alle ore 19:36, così scriveva ai nostri: “Colgo l’occasione per ricordare che i termini per i trasferimenti previsti nell’Ordine di servizio sono da tempo scaduti, pertanto vi invito a provvedere con urgenza a completare le operazioni”.

 

Niente di più, niente di meno. Anche questo l’articolista certamente lo ignorava. Inoltre, i direttori trasferiti, le stanze le hanno scelte proprio di loro pugno.
In cauda venenum, non voglio entrare nel merito del flash mob, di cui parla l’autore dell’articolo, voglio solo ricordare che questo “assembramento improvviso” (questa la traduzione italiana del termine coniato nel 2003) viene generalmente organizzato via internet (posta elettronica, reti sociali) o telefonia cellulare; sarebbe dunque stato un bel guaio, per il RLS, se non vi fosse stato alcun segnale cellulare nemmeno al piano terra.

 

L’unico appunto è che questo utile “improvviso assembramento anti-antenna” ha creato una mancanza d’aria nella “Aula Magna” della sede di via Tuscolana, com’è noto priva di finestre e, quel giorno, anche priva della circolazione d’aria forzata.

 

In una parola, si soffocava. Io sono dovuto uscire per respirare, perdendomi purtroppo tutta la lettura del comunicato.

Non mi resta che concludere (sperando che quanto scritto non faccia saltare i nervi a nessuno) con le ultime parole della celeberrima lettera di Troisi e Benigni a Savonarola, nel film Non ci resta che piangere: “Con la faccia dove sappiamo. Sempre zitti, sempre zitti, sotto”.

 

Speriamo non questa volta.

 

Andrea Braghin – Tecnologo Istat

 

Come sempre, nello stile del Foglietto, la replica è stata tanto integralmente quanto democraticamente pubblicata. Le legittime argomentazioni di Braghin e dei firmatari della petizione sembrano, comunque, confermare, quanto Usi-Ricerca e Il Foglietto da tempo immemorabile solitariamente sostengono: l’assoluta inidoneità dell’immobile di via Tuscolana, edificato come luogo di deposito e di esposizione di mobili, a ospitare uffici pubblici. (A.M.)

 

 

 

 

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