Come definire, se non kafkiana, una vicenda che da più di sette mesi tiene in una sorta di stato di agitazione permanente circa duemila dipendenti dell’Istat, tra tecnici e amministrativi, che giustamente rivendicano l’esatto calcolo dell’ammontare del salario accessorio, di fatto bloccato all’anno 2011?
Nell’ambito di tale monte salari devono essere, tra l’altro, individuate le risorse per finanziare le progressioni economiche e di livello, bloccate anch’esse da più di un lustro.
Tra tagli legittimi e tagli posticci operati dall’ente presieduto da Giorgio Alleva, le risorse da destinare agli avanzamenti di carriera sono state definite giustamente insufficienti.
Per far quadrare i conti, è apparso fin da subito (marzo 2015) evidente, ma solo a Usi-Ricerca e non ad altri, che sarebbe stato sufficiente tagliare i “tagli posticci”, vale a dire quelli sprovvisti del necessario supporto giuridico.
In particolare, l’ente statistico, travisando completamente il contenuto di una disposizione legislativa, in sede di determinazione dell’ammontare del Fondo salario accessorio, operava una decurtazione annua di oltre un milione di euro (più che sufficiente a finanziare le progressioni economiche e di livello), sul presupposto giuridico che all’Istat trovava applicazione la norma contenuta del comma 2 dell’art. 9 del decreto legge n. 78/2010, in base alla quale, a decorrere dall’anno 2011 e fino al 2013 (poi procrastinato al 2014), il salario accessorio è ridotto in misura proporzionale alla diminuzione del personale in servizio.
Per l’Istat, dunque, nel periodo di riferimento, al suo interno c’era stata una diminuzione di personale in servizio, che giustificava il taglio del Fondo salario accessorio di oltre un milione di euro.
Tale assunto veniva assimilato senza colpo ferire da tutti, ma proprio da tutti, ad esclusione di Usi-Ricerca che, dopo le doverose verifiche, accertava e documentava che nel periodo di riferimento l’Istat non solo non aveva registrato alcuna diminuzione di personale in servizio ma, addirittura, aveva avuto un incremento.
Nel corso dell’incontro sindacale del 27 marzo scorso, di ciò venivano edotti dall’Usi i due delegati Istat alla contrattazione (Paolo Weber e Manlio Calzaroni), i quali, dopo aver preso diligentemente nota delle osservazioni del sindacato, si riservavano di fornire risposta entro tempi brevissimi.
Nonostante tale impegno, da allora ad oggi nessuna risposta è mai giunta al sindacato che, dopo averla sollecitata più volte, ha disertato per protesta i numerosi quanto infruttuosi incontri che si sono succeduti, nel corso dei quali le parti in causa hanno fatto una sorta di gara alla ricerca spasmodica delle pagliuzze (rectius: qualche migliaio di euro), ignorando completamente la trave messa in luce preliminarmente dall’Usi.
Nel frattempo, l’amministrazione ha chiesto pareri a destra e a manca, senza mai fare riferimento alle contestazioni dell’Usi, ma limitandosi a questioni palesemente prive di pregio, forse suggerite da qualche altra sigla sindacale, che non vede l’ora di sottoscrivere gli accordi redatti dall’ente.
Dopo la risposta fatta recapitare dal Mef il 27 agosto scorso, di cui l’Usi è venuta a conoscenza soltanto qualche giorno fa, nella quale si conferma che la modalità di calcolo ai fini dell’applicazione della decurtazione deve tenere conto del personale in servizio, l’Istat ha redatto quelle che dovrebbero essere le ultime bozza (1 - 2) che, a quanto pare, più di una sigla sembra pronta a sottoscrivere di corsa.
La replica dell’Usi è stata, invece, la seguente:
“Si riscontra la nota-mail di codesta Amministrazione del 16 settembre u.s. per ribadire quanto già fatto presente dal 27 marzo 2015 ad oggi e cioè che il comma 2-bis dell’articolo 9 del decreto legge 78/2010 stabilisce in maniera chiara e inequivocabile che l’ammontare delle risorse destinate al trattamento accessorio per gli anni 2011-2013 (poi prorogato al 2014) non può superare l’importo dell’anno 2010 ed è, comunque, ridotto in misura proporzionale alla diminuzione del personale in servizio.
Pertanto, non essendosi verificata all’Istat nel predetto periodo 2011-2014 alcuna diminuzione di personale in servizio, la decisione di codesta Amministrazione di decurtare di oltre 1,2 milioni di euro l’anno il Fondo salario accessorio si appalesa illegittima.
Con l’occasione, non può sottacersi il comportamento di codesta Amministrazione che, con nota del 9 giugno 2015 (trasmessa alla scrivente O.S. soltanto in data 14 settembre u.s.), ha chiesto al Mef una serie di chiarimenti (peraltro, ictu oculi dall’esito scontato), senza fare alcun riferimento alla problematica sollevata da Usi-Ricerca in merito alla corretta applicazione della decurtazione de qua.
Ciò nonostante, il Mef ha ribadito che, ai fini della predetta decurtazione, devesi tener conto, siccome stabilito dalla legge, del personale in servizio, con la conseguenza che l’artifizio posto in essere da codesta Amministrazione che, evidentemente, ha preso in considerazione soltanto il personale di ruolo, appare del tutto illegittimo e, quindi, degno di miglior causa.
In conclusione, si conferma la totale ed assoluta contrarietà di Usi-Ricerca rispetto alle ipotesi di accordo messe a punto unilateralmente da codesta Amministrazione, con esplicito invito a rideterminare l’ammontare del Fondo salario accessorio, che non dovrà prevedere, per le ragioni su esposte, alcuna decurtazione ex comma 2-bis dell’articolo 9 del decreto legge 78/2010”.
Staremo ora a vedere chi sarà il primo ad apporre la propria firma sull’inaccettabile testo elaborato dall’ente che, di fatto, negherà alla maggioranza dei lavoratori dell’Istat il diritto alla progressione economica o di livello.