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Martedì, 16 Lug 2024

Mia sorella, dico a Domenico Saraceno mentre visitiamo Atella, paese lucano di 3500 abitanti ad un’altitudine di 500 metri, è stata maestra elementare molti decenni orsono a Sant’Ilario, una delle frazioni del paese. Gli chiedo se esista ancora una scuola elementare lì. No, mi risponde, ci sono gli scuola bus adesso. E penso a come cambiano i tempi e le situazioni, in meglio o in peggio non so dirlo.

Lo scuola bus è un servizio che sostituisce la scuola in loco alleviando problemi di gestione. Consente agli scolari di socializzare con compagni di realtà più grandi, certo. Ma crea altri problemi di “ambientamento”, in qualche caso di “ disadattamento”. Chi saranno i compagni di strada con i quali giocare, crescere e formarsi?

Quelli della scuola nuova che non frequenti al di fuori dell’orario delle lezioni o quelli che hai lasciato dove sei nato e vissuto? E poi, man mano che vai avanti con l’istruzione inevitabilmente entrerai in altre realtà e, se” ti va bene”, completato l’iter scolastico, emigrerai.

E qui entriamo in altre più e certamente meglio trattate realtà. Fra le quali l’abbandono dei piccoli (e meno piccoli) borghi. Che fare? Esula da quello che sto facendo: piccoli viaggi in piccoli e medi centri, più che per divulgarne la conoscenza (esiste internet, esistono opuscoli istituzionali alla scopo), nel tentativo di stimolare curiosità e interesse.

Tanti amici e tante persone che non conosco mi contattano per dirmi che vogliono visitare i paesi lucani dei quali scrivo. Questo mi dà grande soddisfazione e mi ripaga del continuo conflitto, il cui risultato è sempre più in bilico, fra la voglia di andare avanti e il tempo disponibile, che devo distribuire fra i tanti impegni (meglio averli!).

Beh, ma questi sono affari tuoi, sembra dirmi Mimì (amico caro da tempo, mi permette di chiamarlo così) che tira avanti imperterrito con le sue appassionate e competenti descrizioni.

Mimì scusa, ripeti per piacere. Sì, questa è la ex Cappella dei Saraceno, abbracciata alla Chiesa Madre di Santa Maria ad Nives del 1400 (già Santa Lucia), mi fa. Sulla facciata principale della Chiesa, San Pietro e San Rocco e più su, con diverso materiale per successiva aggiunta di cupola sultetto piano, il Cristo.

Segni esoterici, sole e luna, e serpenti, e strani semicerchi capovolti contornano l’arco a sesto acuto del portale. Sulla facciata laterale della Cappella poi mi fa notare dei simboli che testimoniano il fatto che all’epoca la stessa, del 1300, veniva “prestata” agli Ebrei per i loro riti religiosi.

Ricordavo la Chiesa Madre per aver partecipato a cerimonie religiose, alcune delle quali tristi per la perdita di amici e conoscenti. Per molti anni ho diretto gli uffici tecnici della Comunità Montana del Vulture, della quale faceva parte Atella insieme con altri 15 comuni.

Ho girato questi posti per motivi di ufficio ma poco come turista. Adesso scopro con occhi diversi la realtà di questi luoghi alle falde del Monte Vulture, vulcano spento intorno a 700.000 anni orsono. Non si può non pensare alla vita del remotissimo passato, all’epoca dei mammuth e degli elefanti che popolavano questa valle e ad alcuni reperti, custoditi nei tanti musei della zona, tra cui quello che occupa le scuderie di Felicetta Saraceno (nonna del mio amico, guida preziosa), che ne testimoniano la frequentazione. Le scuderie sono annesse alla bella casa dai caldi colori immersa in un parco di 3 ettari, ora di proprietà comunale, chiuso da una recinzione in muratura, parte della quale in mattoni rossi prodotti in una scuola di arti e mestieri promossa dalla Nostra.

Dal parco, una bella vista della Chiesa Madre si prende la scena fra gli alberi. Nella stessa, appena entrati a destra, l’interno della Cappella con le statue di San Vito con i suoi cucciolotti e San Pietro. L’interno è del XVIII secolo, rimaneggiato a causa dei tanti terremoti dell’intera area. Chiesa a navata unica, l’altare principale sotto una volta a chiave alla quale è appeso un pregevole Crocefisso. Arricchiscono l’interno un quadro della Madonna della Neve con ai lati due statuettelignee di angeli, miracolosamente salvati dallo sbriciolamento da abbandono proprio da Mimì, e la statua di Santa Lucia, il cui tesoro è stato rubato due o tre volte.

Al centro, l’altare e l’organo (la tastiera non è qui…) suonato, pare, anche da San Gerardo. Sulla destra, il bellissimo pulpito in legno del 1300 e un affresco raffigurante Sant’Antonio Abate, in una nicchia che era stata murata in altra epoca e che è saltata fuori in occasione di alcuni lavori.

Allo stesso modo, sempre per lavori, sulla facciata laterale destra quando si guarda dall’esterno la Chiesa, è emersa addirittura una bifora, nascosta da un precedente massiccio intonaco!

Al di là delle opere d’arte presenti, mi ha commosso la lapide dedicata a Padre Michele D’Annucci, Martire in Pretoria (Sud Africa) nel 2001. Insieme con lui, Mimì e il compianto Pasquale Ciani, che pure frequentavo per lavoro, facevano i chierichetti. Mimi e Pasquale erano compagni di scuola che, avendo diversità di vedute, si trovavano talvolta ad essere su opposti fronti influendo così, a seconda di chi prevaleva, su scelte che coinvolgevano la collettività.

D’altra parte, la Storia la fanno gli uomini, con i loro “fatti e misfatti” (dice così Mimì a proposito anche dei suoi avi) e con le loro storie, anche quelle piccole. Mimì ha fatto un pregevole lavoro al riguardo: ha elaborato quello che non vuole si chiami “albero genealogico” della famiglia Saraceno, a partire addirittura dal 1100 e fino ai giorni d’oggi.

La storia della sua famiglia si intreccia ed è legata alcune volte strettamente a quelle degli “attori” principali della storia, quelli che lui chiama “Caporal maggiori”, caporali e via via scendendo di grado. Per arrivare ad uno dei suoi avi, Mauro, notaio, il primo Saraceno di Atella, ivi giunto nella seconda metà del 1700, e alla nonna Felicetta vissuta nella prima metà del Novecento.

Visitare davvero un paese, a mio parere, diventa molto più interessante se si ha la fortuna di poterlo legare alla storia delle persone, oltre che ai manufatti in genere. Questi strettamente legati a quelle ovviamente.

E non furono forse (alcune delle tesi sulle origini) le persone che, profughi nel terzo secolo a. C. dalla città di Atella in Campania, ne impostarono il primo nucleo? E se quelle persone non fossero state cacciate da altre persone non sarebbe cambiata la storia di Atella?

E se Giovanni d’Angiò poco dopo il 1300 non avesse promesso l’esenzione dalle imposte per 10 anni a chi si fosse stabilito ad Atella, predeterminando ex novo l’urbanizzazione a scacchiera e una profonda riorganizzazione economica sociale, Atella sarebbe stata l’Atella di oggi? Ripopolata, allora, da quella saggia politica (ricordate Campomaggiore, il paese dell’Utopia, con la sua nascita su simili presupposti?). Della stessa epoca il Castello (oggi solo una torre è rimasta) e le mura con due porte delle quali solo una è ancora visibile. E Crocco, e Caruso, manipolati, e i loro manipolatori, non sono forse stati determinanti nella storia di questi luoghi?

Certo, dico cose che appaiono scontate, ma quante volte, onestamente, nel visitare un paese, ci vien fatto di pensare alle persone che lo hanno costruito e plasmato o che ne hanno influenzato i destini?

Visitando la bella piazza del Municipio, per esempio, persone hanno deciso di costruire al centro un rialzo alberato. Sotto un albero (albero della pace, lo chiama qualcuno) si teneva il consiglio comunale. La piazza era il giardino del convento di clausura delle suore benedettine. Il convento è ora sede del comune, la chiesa di San Benedetto resta alla sua funzione, con l’ingresso in una suggestiva viuzza.

In un angolo della piazza, il lato più piccolo del palazzo di Domenico Saraceno, che ora vive nella sua imponente moderna fattoria agro-zootecnica. Il lato principale del palazzo si estende sul Corso Umberto I.

Sul portale del palazzo, lo stemma di famiglia, la testa mozzata di un saraceno. Dall’impresa di un capitano di una Crociata, la vittoria su un valoroso comandante moro, derivò nome e stemma della famiglia.

Avrei voluto visitare tanto altro e conoscere tante altre storie, come quella della suore o come quella del Monastero di Santa Maria degli Angeli in abbandono da tempo, fuori paese, sulla strada per Rionero, una volta “Rivonigro”, casale di Atella. Tante cose mi riprometto di fare, tanti modi di visitare luoghi comprendo che dovrei adottare, ma non sempre ci riesco.

Sono però soddisfatto quando riesco a incontrare persone del luogo che mi raccontano fatti, oltre che farmi da cicerone sui manufatti.

Grazie, Mimì Saraceno, grazie di cuore.

Vitantonio Iacoviello
Consigliere Nazionale Italia Nostra
Presidente Sezione Vulture Alto Bradano
facebook.com/vitantonio.iacoviello/
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 Il testo dell'articolo è apparso sul Quotidiano del Sud del 24 aprile 2024

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