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- di Adriana Spera
“Cambiare verso”, “rottamazione”, “un premier sindaco degli italiani che dia loro voce”, queste le parole d'ordine con le quali Matteo Renzi ha “affatato”, come direbbe Camilleri, gli italiani.
“Cambiare verso”, “rottamazione”, “un premier sindaco degli italiani che dia loro voce”, queste le parole d'ordine con le quali Matteo Renzi ha “affatato”, come direbbe Camilleri, gli italiani.
Siamo nel 1896. Come da turnazione, l’incarico di inaugurare l’anno accademico dell’Università di Roma deve essere svolto da un docente designato dalla Facoltà di Filosofia e Lettere, che lo indica nella persona del professor Antonio Labriola (1843-1904).
Parte il “concorsone” della scuola. In palio ci sono 63.700 posti, che saranno disputati tra 200.000 candidati. Come dire che poco più di uno su tre ce la può fare.
La relazione di pochi giorni fa, redatta dalla Commissione europea nell’ambito dell’esame approfondito sulla prevenzione e correzione degli squilibri macroeconomici, ci consegna un quadro non proprio rassicurante della situazione economica italiana.
Il Semestre europeo di valutazione ha avuto inizio lo scorso novembre con la pubblicazione dello scoreboard, una grande tavola statistica formata da 28 righe, una per ciascuno Stato dell’Unione europea e 14 colonne, tante quanti sono gli indicatori presi a riferimento per la valutazione. Alcuni di essi descrivono gli squilibri di un Paese verso l’estero e la sua competitività, altri quelli interni, altri ancora l’occupazione.
Gli indicatori sono aggiornati al 2014 e, per ognuno è definito un valore soglia. Il superamento del livello di attenzione, indica una situazione che può avere effetti negativi sull’economia di un Paese o, addirittura, mettere a repentaglio il funzionamento dell’intera Unione europea.
L’Italia ha collezionato 5 squilibri, relativamente alla quota di mercato delle esportazioni di beni e servizi (diminuita in cinque anni del 14%), al debito pubblico in rapporto al Pil (132,3%), alla media triennale del tasso di disoccupazione (11,8%), alla variazione media triennale della disoccupazione di lungo periodo (cresciuta del 3,5%) e della disoccupazione giovanile (+13,5%).
Peggio di tutti ha fatto Cipro, con 8 squilibri su 14, mentre Romania e Polonia ne hanno solo 1.
Questi numeri, insieme a una serie di considerazioni di tipo qualitativo sono valutati dalla Commissione nella relazione sul meccanismo di allerta, per decidere quali Paesi sottoporre ad un’analisi approfondita e giungere, infine, al giudizio sullo squilibrio macroeconomico.
Negli ultimi due anni, l’Italia è stata classificata nella penultima delle 6 categorie, quella degli squilibri eccessivi, che richiedono un attento monitoraggio e interventi risolutivi (nel 2015, era in compagnia di Francia, Portogallo, Bulgaria e Ungheria).
Attraverso una graduatoria dei punteggi medi standardizzati (si attribuisce a ognuno dei 14 indicatori un punteggio uguale a 100, se si raggiunge il livello di allerta, o superiore se si è in una situazione di squilibrio) si può provare a sintetizzare con un unico valore i dati presenti nello scoreboard.
L’Italia, con 155 punti, finisce al quartultimo posto nel 2014, facendo meglio solo di Spagna, Cipro e Grecia e perdendo due posizioni rispetto all’anno precedente. Se fino al 2007 era tra le prime 10 posizioni, successivamente è precipitata verso il fondo della graduatoria (figura 1).
Il punteggio medio è peggiorato dal minimo del 2007 (60) al massimo del 2014 (155), mentre dal 2012 ben 5 indicatori superano la soglia d’attenzione (tavola 1).
Gli squilibri interni e quelli relativi all’occupazione hanno preso decisamente il sopravvento a partire dal 2010, arrivando a spiegare l’83% del punteggio medio complessivo.
Tra i fattori esterni e dovuti alla competitività, l’unico squilibrio eccessivo è quello relativo alla quota di mercato delle esportazioni di beni e servizi, che negli ultimi 5 anni ha perso più del 6%, un elemento critico per la maggior parte dei Paesi dell’Unione europea, dovuto all’avanzamento delle economie emergenti. Anche la posizione patrimoniale netta sull’estero, pur mantenendosi al di sotto del livello di guardia, è progressivamente peggiorata.
Tra i fattori interni, emerge il debito pubblico (in continua crescita), ma anche quello del settore privato che, da alcuni anni, è prossimo alla soglia di riferimento (il 133% del Pil). Preoccupanti gli indicatori sul mercato del lavoro, con una crescita del tasso di disoccupazione (medio triennale) e, soprattutto, della variazione media triennale del tasso di disoccupazione di lunga durata e giovanile.
Se aggiungiamo l’elevato stock di crediti deteriorati posseduti dalle banche italiane e i primi segnali di un peggioramento dello spread, due indicatori supplementari rispetto ai 14, c’è ben poco da stare allegri.
L’analisi quantitativa trova conferma nelle principali preoccupazioni della Commissione europea per l’elevato rapporto debito pubblico/PIL, unito al deterioramento della competitività e alla mancata crescita della produttività. Con l’aggravante che la modesta ripresa e le debolezze strutturali dell’Italia influiscono negativamente sulla ripresa e sul potenziale di crescita dell'Europa.
Tra qualche giorno è atteso un primo giudizio e, bene che vada, sarà confermata, anche per quest’anno, la valutazione di squilibrio eccessivo. Il rischio - pur se remoto - è che quest’anno si possa toccare il fondo, con l’apertura di una procedura formale per squilibri macroeconomici, che può portare anche all’applicazione di sanzioni per non aver provveduto a predisporre efficaci misure correttive.
Figura 1 - Punteggio standardizzato per tipologia di squilibrio per il 2014 e confronto con il 2013 Fonte: elaborazione su dati della Commissione Europea |
Tavola 1 - Punteggio standardizzato per indicatore di squilibrio macroeconomico - Italia - 2005-2014 Fonte: elaborazione su dati della Commissione Europea |
www.francomostacci.it
twitter: @frankoball
Alcuni giorni fa ha destato un certo scalpore la notizia del gran numero di morti verificatesi in Italia nel 2015 (54mila in più, rispetto al 2014). Come sempre avviene, tali eventi luttuosi sono stati doviziosamente registrati dall’Istat, che ha descritto e spiegato l’andamento dell’annus horribilis in questo modo: ”Dal punto di vista demografico, il picco di mortalità del 2015 è in parte dovuto a effetti strutturali connessi all’invecchiamento e in parte al posticipo delle morti non avvenute nel biennio 2013-2014, più favorevole per la sopravvivenza”.
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