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Venerdì, 19 Apr 2024

ITAtech, capitolo secondo. Il primo lo abbiamo pubblicato la scorsa settimana con il titolo ITAtech. Il Trasferimento Tecnologico della ricerca scientifica appaltato ai francesi?

Gli investimenti in imprese innovative italiane (dati AIFI, Associazione italiana del venture capital e del private equity) sono stati pari a 43 milioni di euro nel primo semestre 2017, in salita (è un eufemismo) dai 35 milioni dello stesso periodo del 2016. Di questi solo una frazione è andata a spin-off della ricerca e una sotto frazione ha sostenuto quelli nel settore delle scienze della vita. Parliamo di qualche milione suddiviso per qualche spin-off.

Per svolgere la sperimentazione pre-clinica, studi di tossicologia, biodistribuzione, per preparare un dossier da sottoporre ad un’autorità regolatoria e così via, servono milioni di euro; per svolgere attività clinica, servono decine di milioni. Ciò per singola molecola o terapia.

I conti non tornano.

A fronte di una produzione scientifica italiana simile a paesi come la Francia, superiore alla Spagna e di poco inferiore alla Germania, dovrebbero esserci investimenti in linea. In questi paesi invece si investe da 5 a 20 volte più di quanto viene investito in Italia.

Ciò è noto, tanto che sono state messe in atto azioni di politica economica. Il pubblico ha capito che doveva fare la sua parte. Una prima mossa è stata la costituzione del Fondo Italiano di Investimento (FII). Il primo azionista di FII è la Cassa Depositi e Prestiti (CDP), al 43%. La CDP è per oltre l’85% posseduta dal Ministero dell’Economia, la rimanente parte dalle fondazioni bancarie con in testa quella di Sardegna e la Compagnia di San Paolo.

Ebbene, FII per coprire la drammatica mancanza di risorse per la ricerca scientifica italiana ha investito nel 2013 in un fondo francese, Sofinnova Partners, 20 milioni di euro. Tanti, pochi? Su un mercato che in un semestre in tutti i settori, non solo nelle scienze della vita, arriva a poco più di 40 milioni, tanti. Sofinnova quanti ne ha reinvestiti in spin-off italiani? Zero (0,00). Sono andati tutti oltralpe. Di più, Sofinnova è stata pagata per l’attività di gestione, come tutti i fondi di venture capital. FII ha pagato annualmente almeno il 2% di commissioni di gestione, pari a 400 mila euro per anno.

Insomma, FII ha investito in un fondo che ha reinvestito in spin-off di ricerca non italiani, pagando per farlo.

Incomprensibilmente, FII rinnova la fiducia a Sofinnova e reinveste altri 15 milioni di euro nel 2016. Sempre pagando una commissione di gestione di almeno 300 mila euro per anno. Ad oggi, Sofinnova ha investito in Italia 6 dei 15 milioni.

Sofinnova, per rispondere alle polemiche dilaganti, ha rilasciato un’intervista al Corriere della Sera del 7 novembre scorso, nella persona del managing partner Graziano Seghezzi, a caso l’unico italiano su 25 dipendenti (fonte: http://www.sofinnova.fr/portfoliotalents/), che dichiara: “Sofinnova aprirà una sede a Milano e investirà 100 milioni” perché “vogliamo sostenere scienziati che abbiano alle spalle qualche pubblicazione. Ma soprattutto con uno spirito imprenditoriale che li guidi sulla cresta dell’onda”.

Ecco, la sede a Milano l’ha già abbondantemente pagata FII con le commissioni di gestione passate: ci aspettiamo un intero palazzo, magari anche uno dei nuovi grattacieli che hanno cambiato lo skyline meneghino. Di 100 milioni dovrebbero già esserci i 29 che gli “scienziati” aspettano da anni.

Seghezzi non nega, sempre nell’intervista del 7 novembre, che “Finora (tra il 1999 e il 2013, ndr) Sofinnova ha avuto un approccio opportunistico con le start-up italiane (dal 2013 anche con i soldi degli italiani, ndr): si trovava un buon affare, ci si investiva e poi si tornava a Parigi”. Ancora, “Probabilmente Sofinnova sarà tra i beneficiari di ITAtech, ma assicuro che quei fondi verranno completamente reinvestiti in Italia”. Sì, lo assicura.

Insomma, se l’Italia dà altri 50, o meglio, 100 milioni, sempre con un bel 2% di commissioni di gestione (in 10 anni, durata media di un fondo, sono 10-20 milioni di euro di commissioni), allora aprono la sede e smettono di essere “opportunistici”. Che affare.

Sarebbe opportuno che qualcuno rispondesse a quattro nostre domande:

1. Sofinnova ha intenzione di restituire i 29 milioni di euro già presi e di reinvestirli nella ricerca scientifica e negli spin-off italiani?

2. Sofinnova restituirà le commissioni di gestione guadagnate per investire in spin-off italiani e utilizzate, invece, per investire in ricerca scientifica di altri paesi?

3. Come fa Sofinnova a sapere che “probabilmente” beneficerà di ITAtech dal momento che è una competizione pubblica, con un bando gestito da CDP e dal Fondo Europeo degli Investimenti?

4. Possibile che CDP debba concentrare tutte le risorse per finanziare la ricerca scientifica su un unico operatore, non italiano, e che non sembra abbia dimostrato di credere nell’Italia?

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